di Chiara
“A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà”.
Quello che potrebbe sembrare il pensiero da parte della più fervida delle camicie nere altro non è, con non poca sorpresa, che una dedica da parte di Sigmund Freud: nell’aprile del 1933, a seguito di una visita di Edoardo Weiss e Gioacchino Forzano presso il suo studio viennese, firmò così il libro “Warum Krieg?” (perché la guerra?) scritto con Albert Einstein.
Molto spesso, con non poche difficoltà, i soliti noti hanno cercato di trovare giustificazioni a riguardo: hanno provato a riciclare la scusa della passione di Freud per l’archeologia e la riqualificazione da parte del Duce dei Fori imperiali. Oppure vedeva in lui colui che avrebbe potuto contrastare l’annessione dell’Austria alla Germania da parte del neoeletto Adolf Hitler.
Probabilmente, per quanto sia difficile da accettare, si trattava di reale e sincera ammirazione.
Sta di fatto che circa un mese dopo sul Popolo d’Italia comparve un articolo in cui Mussolini stesso definiva la psicoanalisi un’impostura.
La psicoanalisi esordisce in Italia già dagli anni ‘10 del 1900, dove tuttavia era ancora diffusa una visione vicina a Cesare Lombroso, per cui le nevrosi hanno origine organica, motivo per cui verrà anche additata come antiscientifica.
Nonostante le numerose chiusure, la nuova disciplina troverà spazio a Trieste, dove tra gli anni ‘20 e ‘30 nel manicomio cittadino lavora Edoardo Weiss, psichiatra formatosi a Vienna sotto la guida di Freud stesso.
In una Trieste ancora reduce del Regno Austro-Ungarico diventa un fenomeno culturale: Italo Svevo ne fa il tema narrativo de “La coscienza di Zeno”. Umberto Saba fu addirittura paziente dello stesso Weiss e la terapia lo ispirerà nella stesura della raccolta “Il piccolo Berto”.
Agli inizi degli anni ‘30 Edoardo Weiss si trasferisce a Roma, dove inizierà una vera e propria attività di divulgazione scientifica della disciplina: nasce il primo periodico specializzato, la “Rivista Italiana di Psicoanalisi”.
Viene percepita come una visione del mondo alternativa alla filosofia neoidealista all’epoca dominante.
Sempre negli stessi anni, inoltre, verrà fondata da un gruppo di intellettuali fascisti vicini alla nuova teoria la rivista “Il saggiatore”: credono che l’uomo si trovi in una generale crisi di valori e che l’idealismo di Gentile sia inadeguato a fornire gli strumenti per affrontarla. La psicoanalisi ristabilirà l’equilibrio tra l’eros e il logos, restituendo all’uomo la dimensione istintiva, emozionale ed affettiva.
D’altro canto per intellettuali come Giovanni Gentile e Benedetto Croce era impensabile anteporre l’aspetto inconscio al soggetto stesso; tuttavia, nessuno dei due intralciò la diffusione della psicoanalisi, incentivando anche la pubblicazione di testi di Freud in italiano.
Con non troppa sorpresa il vero osteggiatore della psicoanalisi non fu il Fascismo, ma la Chiesa. Ne rifiuta il determinismo e contesta l’idea della religione come illusione. Inoltre, è estremamente scettica sull’importanza che Freud rivolge alla sfera sessuale. Non tutti i cattolici però sono così avverso: Padre Agostino Gemelli gli attribuisce il merito di avere compreso il carattere dinamico della psiche e il ruolo degli istinti, rimanendo comunque scettico.
Mussolini stesso non ne fu un estimatore: non si hanno certezze su ciò che pensasse a riguardo, ma l’articolo del Popolo d’Italia già citato non lascia molti dubbi; però è importante sottolineare come fosse un grande ammiratore di Gustave Le Bon, padre della psicologia delle folle e di come avesse interiorizzato le sue teorie.
Sicuramente la situazione mutò quando nel 1934 fu chiusa la “Rivista Italiana di Psicoanalisi”, ovviamente sotto le pressioni delle gerarchie cattoliche. Inoltre, con l’intensificarsi della politica antisemita ed essendo la maggior parte degli psicologi di origine ebraica, molti emigrarono, portando alla fine del sodalizio intellettuale. Vengono incentivati articoli contro la psicoanalisi, ma non per un’effettiva avversione, solo per dare seguito alla politica razziale del regime.
In definitiva, attribuire al Fascismo la responsabilità di aver osteggiato la psicoanalisi in Italia sarebbe una semplificazione storica. Pur non essendo mai stata pienamente accolta dal regime, la psicoanalisi non fu oggetto di una vera e propria campagna di repressione da parte del regime. Al contrario, alcuni intellettuali fascisti la consideravano un utile strumento per affrontare la crisi di valori dell’epoca e ristabilire un equilibrio tra ragione e istinto. Più che un’opposizione ideologica da parte del regime, le politiche razziali e la Chiesa contribuirono a limitare l’espansione di una disciplina che, pur tra difficoltà, trovò comunque spazio e interlocutori in Italia, lasciando tracce significative nel panorama culturale dell’epoca.
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