di Enrico

Poco più di un anno è passato dall’inizio di quella che non può più essere definita come una guerra. Quella portata avanti dall’entità sionista a Gaza e in Cisgiordania non ha minimamente il carattere di una guerra. Assediare una città-prigione con due milioni di abitanti quale è Gaza o armare dei coloni abusivi con forniture dell’esercito affinché sgomberino i legittimi abitanti, come avviene in Cisgiordania, non sono atti di guerra: sono atti di genocidio.

Il filo-sionista medio, comodamente dal suo divano, potrebbe obiettare: “Come la fai tragica! È assurdo imputare ad Israele azioni di genocidio”, similmente a quanto detto recentemente da una senatrice (sic!) a vita. Ma andiamo a vedere nel concreto.

Anzitutto, cosa dice in materia di genocidio l’ONU, ovvero quell’organizzazione che, ricordiamolo, nasce direttamente dalle potenze alleate che nel Secondo Conflitto Mondiale avversarono le potenze dell’Asse (sì, prima della fine della guerra gli Alleati cambiarono il proprio nome in “Nazioni Unite”) e che è responsabile della nascita di Israele: analizziamo la definizione e poi confrontiamola punto per punto con quanto portato avanti dall’entità sionista.

Stando alla definizione, ideata dal giurista Raphael Lemkin e adottata dall’ONU, possono essere definiti genocidio quegli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come:

  1. uccisione di membri del gruppo: 41.000 palestinesi uccisi in un anno, per la maggior parte civili. Di questi, circa 39.000 nella sola striscia di Gaza.
  2. lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo: il bombardamento sistematico di Gaza e la guerra psicologica, ad esempio le umiliazioni o la distruzione degli aiuti umanitari per mano dell’IDF, ai danni dei civili palestinesi.
  3. sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale: lo stato perenne di reclusione a Gaza, ormai una città-prigione, in cui non arriva neanche 1/6 dell’acqua e dei rifornimenti necessari, il sempre più intenso furto dei territori palestinesi in Cisgiordania per mano di coloni armati e supportati direttamente dall’IDF.
  4. misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo: neanche a dirlo, con la distruzione sistematica dei luoghi naturalmente deputati alle nascite, ospedali soprattutto, perché a detta delle truppe sioniste sarebbero “covi di terroristi”.

Occhio e croce, si può dire che abbiamo una bella quaterna. Ma sul piano internazionale poco o nulla è stato fatto per fermare le azioni genocide sioniste: anche la recente emissione del mandato d’arresto per Benjamin Netanyahu avrà ben poco effetto da un punto di vista molto concreto: dal momento che i principali alleati di Israele (come gli Stati Uniti) e la Federazione Russa hanno detto a chiare lettere che tale mandato non verrà eseguito, qualora il premier israeliano dovesse metter piede nei suddetti paesi.

Alle azioni di genocidio, si sommano quelle che possono essere definite terroristiche. In un anno abbiamo assistito all’assassino di leader politici in altri stati sovrani (due su tutti: il presidente dell’ufficio politico di Hamas Isma’il Haniyeh e il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah), all’uccisione del console iraniano in Siria tramite bombardamento terroristico del consolato e ad un vero e proprio attentato terroristico ai danni di Hezbollah, tramite l’esplosione di cercapersone e radioline precedentemente preparate dal Mossad, che ha causato circa tremila vittime.

Tutto questo mette in evidenza semplicemente una cosa: l’entità sionista può impunemente portare avanti qualsiasi porcata, senza che venga meno il supporto dell’Occidente, Stati Uniti in primis. Lo dimostra, dulcis in fundo, la recente invasione del Libano, tenuta a freno dalle milizie di Hezbollah: un’azione criminale tanto quanto quella che la Federazione Russa sta portando avanti in Ucraina, ma che non ha scosso minimamente le coscienze delle anime belle occidentali.

Anzi, l’invasione del Libano ha mostrato le molteplici similitudini tra l’azione imperialista della Federazione Russa e quella dell’entità sionista. Innanzi tutto, entrambe pensavano di avere a che fare con un nemico che si sarebbe sciolto come neve al sole, scontrandosi poi con una feroce resistenza e pagando un prezzo salato per la propria tracotanza. E soprattutto, entrambi i governi hanno cercato di vendere le invasioni come azioni non di guerra: due anni fa quella russa in Ucraina era una “operazione militare speciale”, oggi quella sionista in Libano è una “incursione mirata”. Diversi imperialismi, ma le stesse parole e lo stesso progetto anti-identitario.

Infine, in un mondo completamente asservito ideologicamente al sionismo, frutto di quell’immancabile “senso di colpa” che domina incontrastato da ottant’anni, sta iniziando a smuoversi quantomeno l’opinione pubblica (almeno quella non irreggimentata), ma il più delle volte ciò è dovuto, se non altro, ad ingenuità o sentimentalismo. Un esempio su tutti: marxisti ed internazionalisti vari che cercano di appropriarsi della causa del popolo palestinese, dimenticandosi che tale causa è una lotta nazionalista e a tratti religiosa; due cose che nulla hanno a che fare con l’internazionalismo materialista di stampo marxista, il quale altro non è che l’altro volto dello stesso materialismo liberale occidentale che continua a foraggiare il genocidio in Palestina.

Tutto questo ai palestinesi non importa: i palestinesi vogliono essere nazione prima di ogni altra cosa. Torna alla mente quello che Ali, uno dei militanti palestinesi nel film Munich di Spielberg, dice ad un certo punto della pellicola: la Patria è tutto.