di Cippa
Tra De André, Battisti, Gaetano, Bennato, Guccini, Venditti, Vecchioni e molti altri grandi cantautori italiani ho sempre trovato che ci si scordi spesso di un nome: quello di Angelo Branduardi. Non che non lo si conosca, ma è uno di quei nomi che restano un po’ più sospesi di altri, specialmente nelle generazioni più giovani come le nostre. Poi sicuramente se si dice “Alla fiera dell’est” tutti balzano in piedi e la ricordano, quella maledizione che riceve qualche artista quando compone un pezzo che diventa un po’ troppo famoso per un motivo e un altro, similmente a “Samarcanda” di Vecchioni: molti non sapranno collegare un titolo a una melodia ma basterà dire “Oh Oh cavallo” ed ecco un coro assicurato. Rispetto ad altri suoi “colleghi” che hanno avuto una vita piuttosto agiata e canonica, nonostante paventino chissà cosa un po’ per immagine, un po’ per aver diritto di parlare di certe cose, Angelo Branduardi ha vissuto in modo travagliato sia l’infanzia sia l’età adulta.
Il Menestrello non è da meno rispetto agli altri nomi citati: è un notevole musicista tanto da diplomarsi come violinista al conservatorio a soli 16 anni, ha avuto notorietà e tour in tutta Europa nel decennio tra il 1975 e il 1985 più o meno. Tuttavia il suo successo indiscusso e la sua bravura non sono retribuiti con la notorietà ricevuta da altri e le cause di questo sono da ricercarsi nella stessa ragione per cui questo Cantautore è così grande: il suo genere musicale. Infatti quando parliamo di Branduardi non parliamo di Rock, di Pop, di Rap, di Trap, di Blues, di Jazz o altri generi più “mainstream”: il suo campo è la musica tradizionale antica, medievale, un folk che coglie spunti da tutto il mondo. Questo genere particolare accompagnato dai suoi testi altrettanto vari e dalle tematiche a volte fiabesche a volte tendenti alle filastrocche creano una particolarissima interpretazione di melodie del passato assolutamente impeccabile e unica.
Tra i pezzi che possono parlare della sua particolarità possiamo annoverare sicuramente il Signore di Baux, il Funerale, il Dono del Cervo, il Ballo in Fa Diesis Minore. Quest’ultimo per esempio riprende una tradizionale danza Friulana cinquecentesca di cui il testo è ormai andato perduto, la quale si presume fosse un’antica invocazione per le piogge e Branduardi compone un bellissimo testo che richiama il tradizionale inganno verso la Morte, un Settimo Sigillo in musica per chi conosce il film. Non è una musica che si balla a una festa, non ha pretese di critica sociale ma le sue sono storie e leggende affascinanti di un passato ormi lontano che come ultimo menestrello ci fa rivivere a dovere.
Oltre alla chitarra e al suo bellissimo violino una delle cose che più comlpisce di Branduardi è la sua voce: sembra un sussurro ma penetra potente nelle emozioni dell’ascoltatore, è delicata e sembra davvero provenire dal passato ma con la sua insolita decisione riesce a catturarti e ad ammaliarti portandoti in mondi lontani nel tempo e nello spazio. Insomma tra testi, musica ed esecuzione non si può restare delusi da questo artista, nonostante sia sempre meno ascoltato.
Per vivere la sua musica occorre prendersi una pausa dai ritmi frenetici nei quali viviamo, sedersi, chiuderegli occhi e lasciarsi catturare.
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