Di Andrea
Anche quest’anno si torna a parlare del fantomatico esame di Stato, un rito di passaggio che ha segnato intere generazioni ma che con il tempo si distacca sempre di più dagli studenti.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha intrapreso un sentiero ben tracciato per la sua idea di scuola, come stiamo vedendo dall’enfasi e trepidazione che lo stesso ministro sta mostrando per la sua riforma relativa agli istituti tecnici e professionali: ancora più spazio ai privati e alle multinazionali e nessuna intenzione di educare i giovani ma solamente quella di avviarli il più presto possibile al mondo del precariato e dello sfruttamento.
L’esame di maturità 2023/2024, che interesserà circa 500mila studenti, non si discosta per nulla da questo filone.
Negli ultimi giorni Valditara ha comunicato che la maturità 2024 non subirà alcuna modifica rispetto allo scorso anno. La struttura fondamentale dell’esame rimarrà quindi invariata al 2023, anno in cui il ministro aveva annunciato con orgoglio un “ritorno alla normalità” dopo tre anni nei quali l’esame di Stato aveva subito delle modifiche per colpa delle restrizioni stabilite per il Covid-19. Quindi prima prova di italiano uguale per tutti il 19 giugno, con sette tracce suddivise in tre tipologie: due analisi del testo, tre tracce di testo argomentativo e due temi di attualità. La seconda prova, diversa in base alla materia di indirizzo, il giorno successivo.
Dal lunedì successivo invece, partiranno i colloqui orali nei quali sarà assegnato ad ogni maturando un argomento dal quale iniziare il colloquio e cercare di collegare più materie possibili. La discussione concluderà con la presentazione delle esperienze di alternanza scuola-lavoro (Pcto) e la correzione degli scritti.
Nonostante le diverse criticità emerse la scelta del ministro è stata quella di non toccare in nessuna maniera le fondamenta dell’esame di maturità di quest’anno. Il risultato è il solito esame infarcito di nozionismi, con sempre più peso dato all’alternanza scuola-lavoro e alle prove Invalsi come requisito obbligatorio per l’ammissione.
La natura del passaggio conclusivo del percorso di studi superiori rappresenta a pieno l’intera condizione del sistema scolastico odierno: un esame completamente distaccato dagli studenti, preconfezionato e ormai vecchio. Nessuno spazio lasciato alla creatività e all’iniziativa dei ragazzi stessi, ai quali non è permesso sviluppare nulla dalle proprie capacità e spirito critico se non all’interno di una breve e asettica discussione partendo da una scelta della commissione.
Più che la conclusione di un percorso scolastico e di studi assomiglia più ad un controllo qualità per un prodotto che deve essere immediatamente buttato nel mondo del lavoro e in tutto ciò che ne comporta. Questi sono i frutti del percorso di aziendalizzazione e privatizzazione iniziato dai governi precedenti decenni fa e che ora, ogni anno che passa, stanno distruggendo l’istruzione pubblica.
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