“Se mi etichetti mi annulli” scriveva già sapientemente il filosofo Kierkegaard e uomini che aspirano ad essere fecondi, che vogliono evolversi per crescere nel corpo e nel pensiero mantenendo tuttavia radici ben salde, non possono giammai accettare una definizione che ha il solo intento di “ingabbiare” in una categoria “squalificante” – ah la sacra democrazia liberale che non discrimina mai (e giù a ridere) – una gioventù che rivendica ancora un’indipendenza per sé e la propria Patria.
La necessità di etichettare
L’accusa fatta per “marchiare” che sia quella d’esser “estrema destra” o “fascisti” muove dal medesimo obiettivo: degradare moralmente l’avversario colpevole di pensare autonomamente senza farsi imbeccare dai loro stessi cattivi maestri; “il fascismo è un reato” – ripetono storcendo la bocca in una smorfia orripilante che ci ricorda come etica ed estetica (kalòs gai agathòs) vadano di pari passo – ma dimenticano sempre che nessuna legge ha conferito a costoro il potere di disporre delle anime ancora pure e per questo sane, che rifiutano il mesto grigiore democratico. Sono degli asini – e la loro kostituzione è quella “asinina”, posta in essere contro i leoni a garanzia della sopravvivenza di tutti gli scarafaggi – per questo utilizzano con lo stesso significato due mondi che combaciano solo parzialmente, differendo per molti altri aspetti. Solo l’aggettivo “estrema” è sì giusto, perché ogni idea che si oppone alla viltà del suo tempo, alla supina accettazione dell’attuale sistema di potere, non può essere altrimenti, non è dato essere al tempo stesso “conformisti” e indipendenti – tra le due, se la logica vale ancora, si può appartenere ad una sola delle categorie; quando il centro è compromesso, non resta che addivenire “affermazione simultanea degli estremi” (Berto Ricci).
Destra e Fascismo
Destra e fascismo, abbiamo detto. Se è vero che dal dopoguerra chiunque si sia richiamato all’esperienza del ventennio abbia scelto di collocarsi “a destra” – gli spazi a sinistra erano del resto tutti occupati da chi era saltato sul carro dei vincitori, prostituendosi a questi – va pure ricordato che all’epoca del terribile partito unico c’era un’eterogeneità di pensiero che nessuna liberaldemocrazia è ancora riuscita a replicare: così poteva capitare che uomini legati nel destino dalla propria fede, quella nazionale, provenissero dai mondi più disparati: romantici e futuristi, anarchici e hegeliani, comunisti ravveduti e camicie nere della prim’ora. La destra per come comunemente intesa oggi è il mondo che celebra il conservatorismo – in un Paese che ha ben poco da conservare – e non quella della “equa diseguaglianza qualitativa”, nozione tanto cara alla filosofia di Nietzsche quanto alle riflessioni di Evola; il fascismo invece arrivò alla teorizzazione di un “uomo nuovo”, portatore di una nuova concezione della vita che non si esauriva in una semplice dimensione politica ma che si estrinsecava in ogni campo in cui questa andava concretamente ad atteggiarsi: nei rapporti tra uomini, tra gruppi sociali e tra questi e lo Stato. Promise per mantenere un rinnovamento spirituale e una nuova sacralizzazione della società nazionale, divenuta per questo “comunità” unita nella nuova religione della socialità, negli anni in cui la decadenza dell’Europa e dei suoi figli cominciava a pungere sulla pelle martoriata dal secolo dei materialismi, quell’ottocento che aveva covato in sé il diavolo capitalista assieme al belzebù comunista, e lo fece sapendo essere al tempo stesso sintesi delle istanze di entrambi gli schieramenti, andando oltre – come saggiamente consigliava Zarathustra – la destra e la sinistra nell’affermazione di una ritrovata supremazia del politico sulle strutture economiche.
Nel cuore le aquile
Semmai i nostri antagonisti sapessero di cosa van cianciando – ma non si può domandare di comprendere alle galline ciò che hanno nel cuore le aquile – non si sognerebbero mai di accostare il sogno rivoluzionario del ventennio, che ancora agita il cuore e trascina l’anima di tanti ragazzi, alla destra (ops centrodestra) meloniana-salviniana che, attenendosi sempre alle direttive d’oltreoceano, s’affanna nel custodire un “cadavere profumato” (Cioran) quale è l’Occidente demoliberale calpestando quotidianamente i valori che vorrebbe proteggere.
“Non è la vittoria militare l’unica ragione di questa guerra. Siamo qui per rifare la natura umana. Rifare l’Uomo – vincere è questo” – Berto Ricci
“Italia est non provincia sed domina provinciarum”: il comandamento imperiale di Ottaviano trovò ascolto e obbedienza presso il Fascismo e tra talune rare intelligenze del dopoguerra – vedi Romualdi, Adriano – che trovarono asilo “a destra” per necessità, è oggi disatteso dalla (piccola) politica italiana, tutta, senza eccezioni. Ma se ci volete trovare (senza etichette) – cari, si fa per dire, questurini democratici – non guardate a destra o a sinistra e neppure indietro, ma semplicemente in alto, sopra di voi.
Blocco Studentesco
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