Di Sara
Come accade in ogni guerra, la verità è spesso la prima vittima; nel caso di Israele, la verità è un concetto tanto utilitaristico quanto relativo, tanto da aver portato alla creazione di un ministero dedicato alla propaganda.
Gideon Levy, un rinomato giornalista israeliano, scrisse nel 2015 su Haaretz: “La politica di negazione e distacco dalla realtà sta raggiungendo livelli pericolosi”. Questo è un esempio di “Hasbara”, l’eufemismo israeliano per propaganda. Esistono numerose interpretazioni di questo termine, ma quella più accettata dai media tradizionali è che l’hasbara sia semplicemente l’atto o la professione di spiegare, un principio fondamentale del sionismo del XXI secolo. Tuttavia, l’hasbara è diventata un’istituzione formalmente codificata all’interno del governo israeliano dopo la guerra del Libano del 2006. I suoi rami si estendono al Ministero degli Esteri, al Ministero della Diplomazia e degli Affari della Diaspora, al Ministero del Turismo, all’Agenzia Ebraica per Israele e, in particolare, alla Divisione dei Portavoce dell’IDF, responsabile della gestione dei media dell’esercito.
L’attuale capo dell’Hasbara israeliana è Distal-Atbaryan, i cui piani includono la negazione dell’esistenza di un’occupazione israeliana. Come ministro della Diplomazia pubblica, supervisiona le operazioni di Hasbara, mirate a sincronizzare le narrazioni di Israele, specialmente in tempo di guerra. Dopo l’elezione di Hamas al potere a Gaza nel 2007, il governo degli Stati Uniti tentò un colpo di stato con il pieno appoggio di Israele, che fallì. Successivamente, l’Egitto mediò un cessate il fuoco, che Israele violò nel novembre 2008 con un raid transfrontaliero uccidendo sei funzionari di Hamas. Israele giustificò l’attacco come autodifesa contro attacchi missilistici. Durante la successiva campagna aerea, parte dell’Operazione Piombo Fuso, furono sganciate oltre 1.000 tonnellate di esplosivo. Nonostante le smentite israeliane, furono impiegate munizioni a grappolo, proibite dall’ONU nel 2010, e bombe al fosforo bianco, il cui uso sui civili è vietato dalla Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali del 1980. Marc Garlasco, ex capo degli obiettivi di alto livello al Pentagono e successivamente collaboratore di Human Rights Watch, esprimeva frustrazione investigando sulle forze israeliane: “Hanno negato l’uso di bombe a grappolo in Libano, ma ne abbiamo trovate 4 milioni. Non rispondono sul fosforo e noi assistiamo impotenti ogni giorno. Come ci si può fidare dell’esercito israeliano?”.
Inoltre, Israele ha impiegato metodi non convenzionali per promuovere la propria narrativa. Durante l’Operazione Piombo Fuso, si sono rivolti alle comunità ebraiche all’estero per reclutare giovani istruiti che parlano lingue straniere e utilizzano i social media, formando squadre di scrittori che diffondono messaggi pro-Israele su siti web e piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube. Queste unità operano in modo semi-militare, con studenti coordinatori senior che ricevono copertura delle tasse scolastiche in cambio della loro partecipazione, mentre altri studenti ricevono borse di studio parziali.
Un caso emblematico è la guerra del 2014 contro la Palestina, quando l’unico centro di riabilitazione di Gaza, l’ospedale Al Wafa, fu distrutto da un bombardamento israeliano. Per giustificarlo, Israele pubblicò una foto falsa che mostrava il lancio di un razzo dall’ospedale. Amnesty International smentì l’affermazione, dimostrando che l’immagine twittata dall’esercito israeliano non corrispondeva alle immagini satellitari dell’ospedale di Al Wafa, ma a un luogo diverso.
Con l’avvento di TikTok, lo Stato di Israele ha intravisto un’altra opportunità: il suo account ufficiale su TikTok ha guadagnato decine di migliaia di follower durante il conflitto del 2021, condotto come una vera e propria guerra psicologica, sia internazionalmente che verso i propri civili.Tutto ciò suona familiare? Lo è, perché stiamo vivendo ancora una volta la stessa situazione. I media, infatti, non parlano di guerra tra Israele e Palestina, ma tra Israele e Hamas, distogliendo l’attenzione dalle ingenti perdite civili palestinesi. Basta affermare, senza prove, che terroristi si nascondano in scuole, ospedali e ambulanze per giustificare bombardamenti senza rimorsi per gli innocenti, ridotti a “danni collaterali”. È anche lecito bloccare i servizi umanitari dall’entrare a Gaza per fornire acqua, cibo e gas agli ospedali al collasso, se ciò serve a punire i terroristi. “Occhio per occhio, dente per dente”, dopo 70 anni di occupazione, la fine sembra possibile solo quando tutti coloro che difendono la propria casa saranno stati scacciati o uccisi.
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