Di Bianca
È la corsa all’oro del nostro secolo quella delle “terre rare”, quelle materie prime da cui dipende la produzione delle nuove tecnologie. Materie prime “critiche” perché se la produzione avviene a livello globale, la distribuzione rimane di pochi colossi, su tutti la Cina, che soddisfa il 49% del fabbisogno mondiale di questi materiali.
L’unione Europea ha elencato 34 materiali minerari come risorse “di estrema importanza” per il futuro, sia per dare una svolta ai meccanismi geopolitici mondiali che vedono l’Europa dipendente dell’importazione dal colosso della Cina e di altri paesi, sia a nome della tanto predicata transizione digitale e green, per cui è fondamentale l’impiego delle preziose “terre rare”. Di questi 34 materiali, l’Italia ne ha a larga disposizione ben 16, distribuiti nei siti minerari su buona parte del territorio nazionale. Tanto che è proprio nell’Italia che l’UE vede una nuova “potenza in campo minerario”, come dichiara anche Adolfo Urso, il ministro delle Imprese e del made in Italy.
È previsto quindi entro la fine di quest’anno un piano di rilancio delle miniere del nostro territorio nazionale, ed è un rapporto dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che rivela che, contrariamente a quanto viene da pensare, il sottosuolo italiano conserva una grande quantità di materiali dimenticati che nel corso del tempo hanno acquistato un valore inaspettato. Di recente, con le ultime analisi, l’Italia si è rivelata infatti una risorsa di materiali preziosi di cui la ricerca mineraria è andata perdendosi nel corso del ‘900. I siti di estrazione sono circa 80, mentre quelli estrattivi sono distribuiti fra 14 regioni (con percentuali più alte in Piemonte, Toscana, Sicilia e Sardegna) e contano circa tremila lavoratori del settore. Siti minerari che conservano le cosiddette “terre rare”, materiali strategici fondamentali per attuare la transizione green di cui si è detto sopra.
Un esempio è il litio in Lazio e in Toscana, impiegato nella produzione delle batterie per auto elettriche. Non sorprende quindi che la sua domanda sia aumentata vertiginosamente rispetto al secolo scorso. Si stima che entro il 2030 la richiesta di litio sia destinata a aumentare di cinque volte, e il prezzo attualmente è di minimo 45 mila dollari a tonnellata. I paesi che attualmente si fanno carico della domanda sono Cile, Cina e Australia, ed è stata proprio la multinazionale australiana Altamin Limited ad avere individuato uno dei giacimenti più promettenti d’Europa.
Un altro minerale che l’Italia può mettere a disposizione in abbondanza è il cobalto in Piemonte, concentrato soprattutto nelle valli di Lanzo (Torino). Una volta veniva impiegato come colorante nell’industria della ceramica, per poi essere sostituito da altri materiali ed essere abbandonato. Attualmente il cobalto viene però impiegato come componente delle batterie di diversi dispositivi digitali. Sempre Altamin Limited parla di una concentrazione fra le più alte al mondo, ma subentra il problema dell’impatto ambientale che comporterebbe l’estrazione, che sarebbe estremamente alto.
È la stessa “problematica” che frena l’estrazione del titanio in Liguria, che invece si conferma uno dei cavalli di battaglia per l’economia di Russia, India e Cina. Un giacimento di titanio di notevoli dimensioni è stato riscontrato a Piampaludo, in provincia di Savona, in una zona inclusa nel Parco regionale del Beigua. Si stima che la montagna contenga circa 9 milioni di tonnellate di titanio, nel contesto però di un’area protetta con un elevato tasso di biodiversità: le conseguenze di un’estrazione sull’ecosistema locale sono facilmente immaginabili.
Un’altra questione dell’estrazione delle “terre rare” (e non) nel nostro paese è che l’Italia ne è sì abbondantemente provvista, ma in miniere chiuse circa 30 anni fa. Un potenziale dimenticato per decenni, ma da far rinascere entro la fine dell’anno, quando (secondo il ministro Urso) entrerà in vigore il quadro normativo europeo sulla estrazione delle materie prime critiche in Europa (cioè, in Italia, principalmente), a cui poi le imprese potranno presentare i loro progetti.
In Italia l’attività estrattiva è declinata progressivamente nel corso del secolo scorso, con la graduale chiusura (se non abbandono) dei siti di estrazione. A perdersi non sono state solo miniere di materiali metallici, ma anche competenze tecnologiche, capacità gestionali e conoscenze scientifiche sul campo. E la corsa al “nuovo oro” non sembra voler aspettare: la domanda totale di terre rare prevede di crescere per 67 volte entro il 2050, di cui in particolare il litio di 89.
Il Ministero delle Imprese ha già coordinato quattro gruppi di lavoro (…) di cui il “Mining” ha il compito di rilevare le capacità delle attività estrattive, per poter arrivare a un’estrazione sostenibile delle risorse critiche. Prevede inoltre di stabilire la modalità di recupero dei materiali abbandonati nei siti di estrazione e dei rifiuti minerari.
Una sfida attualissima che coglie l’Italia impreparata e fuori gioco, dove la possibilità di riscatto è affidata a esterni. Le misure di adattamento alle nuove politiche economiche globali per essere puntuali devono essere drastiche e avvenire in periodo brevissimo, fuori tempo rispetto al resto del mondo: per ottenere l’autorizzazione a estrarre a una miniera, in Cina bastano 3 mesi, in Canada 2 anni, negli USA 7 mentre l’UE ha tempi di attesa di circa 15 anni.
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