di Bologna
Abbiamo già visto in altri articoli come l’epica storia della guerra di Troia si intrecci a doppio filo con le vicende proto-storiche della nostra Italia. Enea ritrovò la patria perduta dei suoi avi proprio nel Lazio, nel cuore di questa terra che vide la nascita di Roma; e Diomede, terribile guerriero acheo, divenne il padre civilizzatore del nostro Adriatico, fondando città e legando coi popoli indigeni.
Sono tanti altri però gli eroi cantati da Omero che scoprirono le svolte del loro destino approdando in Esperia, l’antico nome della nostra terra: uno di questi fu Filottete.
Filottete era figlio di Peante, uomo famoso per la sua bravura nel tiro con l’arco e valoroso seguace di Giasone nel pericoloso viaggio alla ricerca del Vello d’oro. Durante l’impresa con Giasone e gli argonauti, Peante aveva stretto una forte amicizia con un altro di quei mitici eroi: Eracle in persona!
Molti anni erano passati da allora, Peante e il piccolo figlio vivevano nei pressi di un bosco montano quando il passato tornò a far visita all’eroe. È proprio qui, sul monte Eta, che Peante si imbattè nel vecchio amico Eracle, disteso ferito e agonizzante su una pira di legno che ancora non bruciava. Qui non ci soffermeremo a raccontare tutta la storia che ha portato alle terribili ferite del potente eroe, ma sta di fatto che Eracle supplicò il vecchio compagno d’avventure di appiccare il fuoco a quella pira, in modo da dargli finalmente pace. Peante, sconvolto dal dolore, rifiutò di accendere il fuoco; la responsabilità di dare la morte ad un uomo così famoso e potente era troppo grande.
È proprio allora che Filottete, al seguito del padre, si fece avanti. Vedendo la pietà negli occhi del figlio di Peante, Eracle gli fece dono del suo arco e delle sue frecce ed in cambio il piccolo appiccò la pira.
Iniziò così la storia del più famoso arciere dei tempi antichi.
La fama del giovane crebbe a dismisura, insieme alla maestria nell’impugnare quell’arco donatogli dal figlio di Zeus in persona. Ritroviamo infatti Filottete molti anni dopo, alla guida di un contingente di sette navi ricolme di arcieri formidabili in direzione di Troia, insieme all’armata del possente Agamennone.
Nella piana di Troia tuttavia, Filottete non giunse mai. Morso da un serpente durante uno scalo ed in preda ai dolori dell’infezione l’eroe venne abbandonato su un’isola insieme al suo arco e pochi viveri. Anche se ferito, Filottete riuscì a sopravvivere su quell’isola inospitale proprio grazie alla sua bravura nell’arte della caccia e dieci anni dopo, le vele dei greci comparvero nuovamente all’orizzonte di quel suo piccolo personale regno.
Era Pirro il figlio di Achille che era tornato a prendere l’eroe, non per pietà o per senso di colpa, ma per una profezia che aveva decretato che Troia sarebbe caduta solo in presenza dell’arco di Eracle. Qui nell’ultimo anno di guerra Filottete venne finalmente guarito e le sue frecce tornarono a fare strage di nemici, tra cui il principe Paride.
Dopo il saccheggio di Troia Filottete tornò in patria nuovamente condottiero delle sue genti, ma la sua fortuna durò poco. Non è noto se per una rivolta o per una rinnovata sete di avventure, Filottete fu costretto ad imbarcarsi nuovamente insieme a pochi guerrieri ancora fedeli. Come molti altri eroi del suo tempo, il grande arciere fece vela verso Occidente approdando infine sulle coste crotonesi. Proprio come successo con Diomede nelle terre dell’Adriatico, i guerrieri achei si unirono alla popolazione locale e fondarono diverse città. A Cirò Marina nel 1924 vennero rinvenuti i resti di un tempio di Apollo che secondo la tradizione fu costruito proprio dall’eroe greco, che vi depose il suo arco e le frecce deciso a non combattere più. La storia di Filottete tuttavia, doveva ancora finire.
Giunta notizia che una rivolta di indigeni giungeva a minacciare la sua nuova città di Sibari, Filottete impugnò le armi un’ultima volta. Non sappiamo se per l’occasione corse al tempio di Apollo per riprendere l’arco del grande Eracle, ma ci piace pensare che l’eroe decise per una volta di rinunciare a quella mitica arma che tante volte lo aveva condotto alla vittoria.
Filottete morì in questa sua ultima battaglia e i suoi fedeli guerrieri nascosero il suo corpo, si dice proprio nei pressi di quel tempio sacro ad Apollo che l’eroe aveva fatto costruire.
Termina così un’altra storia su quelli che sono a tutti gli effetti i grandi miti del nostro passato e dire “nostro” non è a caso, dal momento che abbiamo avuto un altro esempio su come i grandi eroi della tradizione greca siano legati da un filo indissolubile anche alla nostra penisola. È il segno di un patrimonio comune di sangue e tradizioni che dalle mura di Troia è giunto fino alle belle coste dei nostri mari e qui si è sedimentato, è fiorito nel ricordo delle storie tramandate dai vecchi abitanti dei nostri borghi. Ancora una volta il mito, che non è solo leggenda fantasiosa, si rivela per noi vera e propria proto-storia di una radice Europea che sta a noi riscoprire, raccontare e tornare a far fiorire.
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