di Riccardo
Purtroppo il tempo a scuola è poco e i programmi di ogni singola materia sono vastissimi, di conseguenza
tutto viene fatto in modo sommario e superficiale. Come succede per la storia, che viene descritta come
un semplice susseguirsi di date e battaglie, la letteratura e i suoi autori vengono studiati per sommi capi in
compartimenti stagni invalicabili. Uno degli autori che subisce di più questa mancanza di attenzione e la
superficialità propria del nostro sistema scolastico è Giacomo Leopardi, descritto da intere generazioni
come il gobbo depresso per antonomasia. Sorge dunque una domanda; Giacomo era veramente così?
Allora che fosse gobbo e cagionevole di salute è più che appurato, ma riguardo la depressione la
questione è ampia e complicata. L’aspetto leopardiano su cui si soffermano principalmente tutti i
professori del liceo è l’inevitabile infelicità innestata dentro ogni uomo fin dalla nascita da quella forza
maligna chiamata Natura. Proprio questa condizione universale denunciata dall’autore, che spesso non
viene troppo approfondita tra i banchi di scuola, ha creato il mito che tutti conosciamo. Però basta scavare
più a fondo per scoprire un Leopardi nuovo e tutt’altro che depresso. È vero, l’autore si sofferma in modo
particolare sul – così chiamato dalla critica letteraria – pessimismo cosmico, ma parallelamente porta
avanti una disperata battaglia contro di questo cercando in lungo e in largo delle soluzioni senza
abbandonarsi mai al proprio destino. Questa battaglia lo accompagnerà per tutta la vita senza una tregua e
questo lo spingerà ad evolversi.
Leopardi non rimane a studiare chino sui libri a lume di candela nella sua cameretta di Recanati, ma
viaggia per le principali città italiane conoscendo molti altri autori che spesso percula con una fine ironia.
Ama una donna che non solo non ricambia i suoi sentimenti, ma che lo sfrutta per farsi il suo migliore
amico. Proprio con lui, Antonio Ranieri, Giacomo porterà avanti una solida ed invidiabile relazione
d’amicizia che lo accompagnerà fino alla morte in quel quattordici giugno 1837. Poco prima di questa
data verrà scritta una delle più belle delle poesie dell’intera letteratura italiana, la Ginestra. Nella quale
Leopardi, utilizzando come metafore lo splendido fiore che cresce sulle pendici del Vesuvio, lascia un
messaggio ai posteri.
Un messaggio anti-fatalista e colmo di speranza, ovvero l’idea della “social catena”. L’unione di tutti
gli esseri viventi atta a resistere alla Natura. Perché proprio come quel fiore, che nonostante sia
consapevole della propria mortalità rinasce e continua ad abbellire il vulcano dopo ogni sua eruzione,
l’uomo deve continuare a combattere senza sosta o possibilità di vittoria.
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