Di Alberto
Sembra essere un appuntamento ormai fisso quello degli scontri fra armeni e azeri nella regione del Nagorno Karabakh.
Il 12 settembre sono purtroppo ri-esplose le tensioni mai sopite nella conflittuale zona dell’Armenia e pare evidente che si è di fronte ad un prossimo scoppiare del conflitto aperto, come già successo nel 2020. Come al solito è avvenuto uno scambio di accuse reciproche, con gli azeri che affermano di essere stati sottoposti al tiro di artiglieria armeno e i secondi che sostengono di essere stati vittima di bombardamenti da parte dei temibili droni Bayraktar di produzione turca. Quest’ultima ipotesi sembra essere la più probabile data la nota volontà del governo di Erdogan di ridurre l’influenza Armena nella regione.
A fermare l’escalation è arrivata la mediazione russa che ha concordato un cessate il fuoco per le 8 della mattina seguente. I russi mantengono nella regione un contingente di peace-keeping che però durante le tensioni negli ultimi anni non è stato in grado di assolvere al suo ruolo o, più probabilmente, ha preferito non rischiare perdite.
Il risultato dei bombardamenti sono decine di morti da entrambe le parti e sembrano essere gli Azeri al momento ad aver riportato i maggiori risultati avendo occupato diversi villaggi ed avendo quindi, se pur di poco, portato avanti le proprie posizioni.
Se a Baku la popolazione è scesa in strada a sostegno dell’azione bellica, a Yerevan si sono alzate invece proteste e manifestazioni di protesta contro il primo ministro Pashinyan, reo di immobilismo e inadeguatezza di fronte alla politica aggressiva dell’Azerbaigian.
L’ennesimo conflitto nello scacchiere internazionale che va ad accrescere le tensioni nello spazio ex-sovietico. L’ennesima spina nel fianco per una Russia già impegnata sul fronte Ucraino o l’opportunità per la superpotenza di riguadagnare prestigio facendosi portatrice del ruolo di mediatore? Solo il tempo potrà dircelo.
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