Di Elena
L’insegnamento non è un mestiere, né una professione. Non è un modo qualunque per portare a casa un salario né per sbarcare il lunario. Un professore è una guida perché ha il potere e (si spera) le capacità per plasmare dei potenziali uomini in uomini nel senso aristotelico del termine, quindi anime razionali.
Più che un lavoro, è una missione. Un compito delicato e purtroppo da molti sottovalutato. A ricordarci la funzione elitaria del ruolo dell’insegnante è l’ormai ex ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi. Già prima del suo intervento che carica ancora di più la formazione dei professori in potenza, il percorso per chi voleva intraprendere questa carriera era arduo, lungo e insidioso.
Se le generazioni attuali subiscono ancora gli strascichi dei prof sessantottini che poco hanno dovuto sbattere per sedersi dall’altra parte della barricata (senza, così pare, troppi rimorsi di coscienza), i giovani laureati sanno che prima di poter sperare di tramandare dei saperi devono passare anni di lacrime e sangue.
Con la riforma del ministro Bianchi che, con sommo nostro dolore e rammarico, ha lasciato la poltrona su cui si sentiva molto a proprio agio, gli anni di studio per i futuri insegnanti aumentano in maniera considerevole. Dall’altro lato rimangono però stabili gli incentivi o gli aiuti per garantire a questi ragazzi la possibilità di formarsi. Da qui nasce il parallelismo tra l’insegnamento e l’élite, purtroppo non di spirito, ma dettata dalla disponibilità economica.
Infatti, dopo una triennale ed una magistrale in cui gli studenti sono tenuti a scegliere quale sarà la propria cattedra, li attende un lungo percorso verso l’abilitazione. Questo include 60 CFU, un concorso e un anno di prova in servizio con valutazione finale (solo per raggiungere la tanto agognata abilitazione) che, se superata, dà la possibilità di accesso ai bandi per ‘’sognare’’ il precariato.
Naturalmente, a comporre la rosa dei 60 CFU ci saranno le classiche materie modaiole a sfondo antropologico e politically correct che servono per concludere con una ciliegina il percorso di indottrinamento dei giovani professori.
Le proteste e gli scioperi non sono serviti a niente. Il silenzio che ha avvolto la vicenda è assordante. La grande folla di ragazzi che pensava di essere quasi arrivata alla fine del percorso prima della cattedra, ha pianto lacrime amare tutta l’estate, mentre decideva se proseguire la stessa via o rinunciare in favore di qualcosa di più abbordabile a garanzia di un reddito più o meno stabile, ma meno appagante.
Le promesse e le fittizie garanzie del ministro Bianchi non vengono accettate per pagare i mutui dalle banche. Ora sarebbe disumano pensare che per questi ragazzi ci sia la possibilità di comprare una casa e mettere su una famiglia. È solo una delle tante prove a sostegno del fatto che gli italiani non fanno più figli perché non gli viene data la possibilità, o meglio, gli è stata tolta.
Se negli ultimi anni ci si lamentava del precariato, per i ragazzi di oggi si tratterebbe di una svolta in positivo. Come tutti i cambiamenti che puntano al peggioramento della situazione, anche in questo caso ci hanno insegnato ad accettare il peggio con il sorriso sulla bocca, come fosse una gentile concessione.
Ci saranno sicuramente tra queste nuove leve dei capitani alla Robin Williams in ‘L’attimo fuggente’, dei volenterosi e testardi giovani insegnanti pronti a rendere onore al ruolo che ricopriranno. Dei coraggiosi giovani uomini e giovani donne che scaleranno i muri di burocrazia e formazione non richiesta per raggiungere e conquistare la preda mantenendo intatta la propria personalità e autonomia di pensiero.
Noi stiamo dalla loro parte, facciamo il tifo per loro aiutandoli per quel poco che ci è concesso ad onorare la missione che ha reso Socrate grande anche di fronte alla morte, affinché l’esempio non muoia al suono della campanella.
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