di Patrizio
La regione del Kosovo negli ultimi venti anni non è stata un teatro di tranquillità e diplomazia.
A seguito della fine della guerra, nel 1999, ultima dei conflitti jugoslavi, le tensioni fra la popolazione albanese (maggioranza con il 92%) e quella serba (circa il 4%) sono rimaste alte, e i serbi si sono stanziati sempre più nelle regioni del Nord. Esse, infatti, contengono quasi la totalità dei serbi kosovari, che in alcuni punti arrivano a sfiorare anche il 100% dei residenti totali.
Proprio in queste zone, attorno alla fine di Luglio si sono riaccesi i toni: a seguito della decisione del governo di bandire le targhe e di non accettare più i documenti serbi, il governo del protettorato NATO ha scatenato l’ira dei residenti slavi che hanno bloccato le strade con camion e automobili. Questo fatto ha però visto una reazione incredibilmente violenta della polizia kosovara, la quale ha malmenato i manifestanti insieme alle forze NATO presenti nel territorio in supervisione. La situazione è in seguito degenerata, e a seguito di alcune sparatorie fra i serbi insorti e la polizia/truppe NATO, è iniziato un vero e proprio scontro diplomatico: la Serbia ha iniziato esercitazioni militari al confine con il Kosovo. Teatro di tensione sono state le cittadine di Leposaviq, Zveçan e Zubin Potok, i principali centri a maggioranza serba della regione, e a Mitrovica, capoluogo, sono suonate le sirene da raid.
Quindi, la domanda che tutti noi ci poniamo dopo aver preso atto di ciò è: come mai questa tensione si è nuovamente alzata? È possibile che c’entri qualcosa con il conflitto ucraino e l’escalation a Taiwan? Nei giorni seguenti, infatti, il neo rieletto presidente Vucic ha dichiarato che “la Serbia non è mai stata in una situazione così complessa e difficile”, segno di come, evidentemente, lo scenario delle ultime settimane non è legato semplicemente agli ultimi provvedimenti. La NATO, infatti, si è premurata subito di dichiarare un intervento militare in caso di “ulteriori provocazioni serbe”, che lo stesso Vucic ha chiesto ai suoi connazionali kosovari di non avallare. Che la NATO (leggasi in questo caso Stati Uniti) voglia aprire un altro fronte europeo? Anche perché, come tutti sanno, la Serbia è la principale alleata dei russi nel cuore d’Europa. Si paventa sempre più uno scenario da “Nuova Guerra Fredda”, dato che la risposta del Cremlino non si è fatta attendere: “le autorità di Pristina pongano fine alle provocazioni e rispettino i diritti della minoranza serba in Kosovo”, ha dichiarato Maria Zakharova, portavoce di Lavrov, annunciando la “preparazione serba a uno scenario militare, in caso di attacco diretto alle loro libertà”. Insomma, una situazione sempre più tesa.
E l’Unione Europea? Ormai sembra sempre più una barzelletta, l’ultima persona a cui si chiede l’autorizzazione per fare qualcosa, ma l’idea di un’ennesima guerra in Kosovo (in contemporanea all’attivo conflitto ucraino), nel cuore dei Balcani, non stuzzica granché i tecnocrati di Bruxelles, i quali hanno organizzato un incontro fra il primo ministro Albin Kurti e il presidente Vucic, per riallacciare il dialogo. Il primo, comunque, non pare sia molto intenzionato a calmare la crisi, dichiarando quello serbo un “governo alla mercè di Putin che vuole creare conflitti per le sue volontà”. L’incontro del 18 agosto sarà infatti decisivo sull’evolversi della faccenda, che sembra sempre più destinata a deteriorarsi. Lo scoppio di un’ennesima guerra sarebbe la pietra tombale, dunque, sulla balla enorme secondo la quale l’UE ha garantito 70 anni di pace.
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