di Cerotto
È il periodo più caldo, quello del torrido sole all’orizzonte, delle macchine che lontane sembrano muoversi su un asfalto che lentamente pare sciogliersi. È il periodo di una profonda trasformazione. Dagli alberi cadono i frutti maturi, il verde dei boschi diventa di un cupo accecante, le notti iniziano, nuovamente, a farsi sempre più buie. L’alba tarda ad arrivare da questo momento in poi.
Ci si prepara per l’autunno. Con parsimonia si raccoglie ciò che si ha seminato. Lo si mette da parte, ne si fa scorta, per quando l’inverno tornerà. Eppure ogni anno non è soltanto l’ennesima rinascita.
È innegabile la magia cronologica che distingue il solstizio d’estate da quello d’inverno. Sono i riflessi l’uno dell’altro. Complementari accurati nella loro natura. Si completano a vicenda, in un equilibrio cosmico che l’uomo dall’alba dei tempi fatica a comprendere.
Se quello d’estate ci porta ad avere cura di ciò che abbiamo preso in carico nella nascita primaverile, quello invernale ci chiede di consumarlo, di nutrirci di quello che siamo stati, per essere liberi all’arrivo della nuova stagione, all’inizio del nuovo ciclo vitale.
È dunque di vitale importanza, delineare i contorni dei valori, dei principi, delle idee in questo momento. È ciò di cui ci ciberemo quando la notte si insinuerà tra l’alba e il tramonto.
L’unica luce, quando saremo costretti a vivere nel buio, nell’attesa.
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