Di Bianca

Nella giornata di ieri, domenica 12 giugno, si è tenuta la votazione per il referendum costituzionale sulla giustizia. Gli italiani sono stati chiamati a esprimersi su cinque quesiti che interessavano rispettivamente: l’abolizione della legge Severino, la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle carriere dei magistrati, la valutazione sull’operato dei magistrati e l’abolizione della raccolta firme per le elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Cinque sì, per scardinare una parte importante dell’assetto su cui si fonda la giustizia italiana.

Un referendum che ha fatto muovere tutti quegli italiani che hanno constatato (spesso anche sulla propria pelle) quanto valga la parola “giustizia” in Italia, o per lo meno quanto (non) valga per chi, in teoria, dovrebbe tutelarla. Un referendum epocale si può dire, o forse è più corretto dire che avrebbe potuto esserlo.

L’affluenza infatti è stata bassa, bassissima, e già si stima che sia stata l’affluenza al voto più ridotta in assoluto in Italia: i conti sono ancora freschi, ma pare che questa si aggiri fra il 19 e il 23%. Un vero e proprio flop alle urne, anche se per qualcuno addirittura era già scontato che non si sarebbe mai superata la percentuale minima necessaria per il quorum.

Ma perché, dunque, gli italiani non hanno votato? Sarebbe facile e rapido ritrovare nella causa di questa assenza elettorale la più indifferente depoliticizzazione che l’Italia abbia mai visto. Non è la prima volta che ci si ritrova, alle urne o per strada, davanti al più totale disinteresse per la politica da parte degli italiani, conseguenza di anni, riforme e cariche politiche lontane dal popolo e dagli interessi nazionali. Questo è innegabile, e l’affluenza di ieri lo ha pienamente dimostrato.

Ma fra chi non si è espresso sorge anche una totale sfiducia nella possibilità di un cambiamento. Proprio quegli italiani che negli ultimi anni hanno messo in discussione i governi, causa Covid perlopiù, ieri si sono astenuti, sostenendo che tanto nulla può cambiare e cambierà, che chi è al potere farà di tutto per impedire qualsiasi frattura al sistema imperante, e che questo referendum non è altro che un teatrino di facciata per far pensare che una qualche forma di democrazia esista ancora, alla stregua della sterile opposizione sinistra vs destra.

Una posizione che ha soffocato definitivamente ogni possibilità di realizzazione del referendum, molto più di una moltitudine di no. Sono i sì, infatti, ad avere prevalso alle urne: un 55,07% per la Severino, un 57,38% per la custodia cautelare, un 76,01% per le carriere dei magistrati, un 74,17% per i voti sui magistrati e un 74,79% per le votazioni del Csm. È per sfiducia o disinteresse, dunque, che il referendum è risultato come un nulla di fatto.

Prima l’ostacolo alla realizzazione dell’Italia come Nazione si poteva far coincidere con un’oligarchia sovranazionale serva del capitale; e a questo si aggiungeva poi un popolo pigro, intontito, asservito nella cieca convinzione di essere libero. Invece ora più che mai risulta chiaro cosa impedisca all’Italia di risorgere, riprendersi tutto e “tornare potenza”, insomma: un popolo del tutto indifferente al suo futuro e al destino della Nazione. I burocrati internazionali hanno solo velocizzato il processo, e questo perché nessuno glielo ha impedito o meglio perché in troppo pochi ci hanno provato.

Le restrizioni hanno già ampiamente dimostrato quanto il popolo italiano pensi di valere contro le imposizioni di una classe politica arbitraria e corrotta. Ma se prima “le regole sono regole” ed è necessario sacrificare la propria libertà a favore dell’obbedienza dello Stato, adesso c’è astensione assoluta non appena è richiesta una minima espressione della propria volontà. Un popolo in perenne attesa di un qualche “liberatore” che intervenga dall’alto per cambiare le cose, 80 anni fa come oggi (lo abbiamo visto con la guerra russo-ucraina). Perché una vita di politica implica mantenere una posizione e difenderla, quindi confronti, scontri, e talvolta sconfitte. «L’ideale non paga, è precario» cantano a ragione i Bronson.

E alla fine, guardando le cose dalla prospettiva di chi governa, non risulta tanto assurdo il comportamento dei politicanti non eletti che da anni sopportiamo. Per quanto sia indiscutibilmente deplorevole svendere la propria Nazione a banchieri stranieri, questo rientra nei loro (per quanto sporchi) interessi, che perseguono come dovrebbero perseguire, in un mondo non ideale ma anche solo giusto, quelli dell’Italia. Non stupisce, al di là delle assurdità e delle “perle” che ci regalano quotidianamente, che agiscano per il loro tornaconto.

A questo hanno portato decenni e decenni di corruzione, servilismo da superpotenze straniere e cieca obbedienza al guadagno. E per quanto possano sembrare dei fenomeni enormi, al di fuori della nostra portata, è innegabile che in parte tutto ciò sia stato permesso. E questo è visibile solo agli occhi di chi ha deciso di ribellarsi a questo sistema, quei pochi soli dietro alla barricata, mentre gli altri stanno al sicuro nei salotti o affacciati alle finestre per commentare.

Il referendum costituzionale sulla giustizia avrebbe potuto portare a un reale cambiamento, ma è stato solo una triste conferma. Non che, in fondo, ci fossimo mai aspettati qualcosa di diverso.