Di Geox
Evergrande, il più grande sviluppatore immobiliare in Cina è messo male, molto male. È infatti abbastanza probabile che vada in bancarotta (è già inadempiente su alcuni pagamenti di interessi sulle sue obbligazioni). Molte persone si stanno chiedendo se si tratti di una ri-edizione della “Lehman Brothers” in salsa cinese. Siamo, quindi, sull’orlo di un nuovo collasso economico-finanziario globale?
Tentiamo di analizzare lo stato di salute del settore in cui si trova Evergrande. La presenza di una bolla immobiliare cinese è stata segnalata da oltre un decennio e la prova principale di questa è l’esistenza di città fantasma, città praticamente vuote, cattedrali nel deserto. Da oltre dieci anni le città fantasma non sembrano causare un problema a livello di sistema, tuttavia il tasso di posti sfitti ha continuato a crescere nelle città secondarie della Cina. Anche a Pechino il tasso di posti sfitti ha raggiunto il 20%. Il tasso di alloggi sfitti in Cina è relativamente alto rispetto ad altri Paesi, sebbene nel 2017 fosse inferiore a quello di Spagna e Italia. I dati sul tasso di sfitti non sono allarmanti, ma quando questo indicatore (e l’esistenza delle sopracitate città fantasma) viene combinato con altri indicatori, la situazione del settore immobiliare cinese appare preoccupante.
La casa è un bene strumentale durevole e come tale deve essere valutato. Ma come si determina il prezzo di un bene strumentale? Il modo più comune è di basare la valutazione sul reddito che è in grado di generare. Nel caso dell’abitazione, il reddito che si genera è l’affitto. Di conseguenza è fondamentale che il valore della casa sia un ragionevole multiplo del valore locativo. Il rapporto “prezzo alloggio/prezzo affitto” dà un’idea di quanto sia inflazionato il mercato immobiliare. Quando l’indicatore è molto alto, l’acquisto di una casa non può essere giustificato dal reddito che genererà. L’unico motivo per cui qualcuno comprerà una casa in questo caso è per sperare di rivenderla ad un prezzo più alto (e se tutti operano sulla stessa aspettativa, siamo di fronte ad una bolla, per definizione).
Ebbene, il rapporto prezzo alloggio/prezzo affitto nel mercato immobiliare cinese è incredibilmente alto. Acquistare una casa in Cina ed affittarla è un piano aziendale scadente, poiché ci vogliono ben quarantotto anni per recuperare l’investimento. Anche la redditività dell’investimento in abitazioni può essere analizzata in modo simile: il reddito di una casa viene diviso per il suo prezzo di vendita ed il risultato (una volta tolti i costi) è la redditività dell’investimento nel settore immobiliare. Gli investimenti immobiliari nelle città cinesi sono meno redditizi rispetto alle città di altre nazioni. Inoltre, i rendimenti degli investimenti nel mercato immobiliare cinese sono molto inferiori al tasso d’interesse ipotecario prevalente nel Paese. In altre parole: acquistare una casa in Cina non ha senso. Questo è un chiaro segno di una bolla immobiliare.
Un altro modo per analizzare se il mercato immobiliare è in bolla consiste nel determinare se il cittadino medio può acquistare una casa. Lo scopo principale di una casa è essere abitata (ovvero la domanda finale). Se il prezzo delle abitazioni cresce ben al di sopra del potere d’acquisto del cittadino medio, la domanda di abitazioni (che alimenta la crescita dei prezzi) potrebbe rivelarsi puramente speculativa e crollare in futuro, quando sarà chiaro a tutti che la domanda finale non esiste, è fasulla. Il rapporto tra prezzo delle case e reddito pro capite della Cina è il secondo più alto al mondo (dietro solo all’India). Il cittadino cinese medio impiegherebbe 146 anni per pagare una casa se dovesse destinare tutto il suo reddito all’alloggio!
Un’ulteriore modalità per valutare se il mercato immobiliare cinese è in bolla consiste nell’esaminare il contributo del settore immobiliare al PIL. Un contributo elevato indica che troppe risorse sono destinate all’edilizia abitativa. Questo indicatore è il logico corollario di quelli discussi sopra: se i prezzi delle case sono alti, i produttori reagiscono aumentando l’offerta, attingendo a risorse da altre parti dell’economia. Il contributo del settore immobiliare cinese al suo PIL è maggiore rispetto a quello delle enormi bolle immobiliari irlandesi e spagnole degli anni 2000. Quasi un terzo dell’attività economica della Cina è legata al mattone.
Un altro segnale di una possibile bolla è rappresentato dalla concentrazione della ricchezza e degli investimenti in un unico settore. Il settore immobiliare è un investimento preferito dai cittadini cinesi. Il recente aumento del reddito e della qualità della vita dei cittadini cinesi ha aumentato esponenzialmente la loro capacità di risparmiare ed investire. L’asset in cui investono è stato quasi esclusivamente l’immobiliare. Nel 2018 il 76% della ricchezza delle famiglie cinesi è stato investito in abitazioni (a titolo di paragone in Giappone questa cifra è del 41%, mentre negli Stati Uniti è del 27,7%).
La concentrazione delle attività nel mercato immobiliare rende le famiglie cinesi vulnerabili agli shock di tale mercato. La valutazione del mercato immobiliare cinese oggi è doppia rispetto a quella del mercato immobiliare statunitense, anche se il PIL cinese è inferiore del 25% rispetto a quello statunitense. Nella bolla immobiliare giapponese scoppiata negli anni ’90, la valutazione di mercato al picco era anch’essa il doppio di quella del mercato immobiliare americano. L’enorme domanda di immobili sta generando un’offerta abitativa di gran lunga superiore alle esigenze dei cittadini cinesi (tipica caratteristica di una bolla). Nel 2008 solo il 30% delle nuove abitazioni è stato acquistato da persone che già possedevano almeno una casa; nel 2018 questa cifra era dell’88%.
Appare chiaro pertanto che il problema di Evergrande non è un problema isolato, ma un problema sistemico dell’economia cinese che riguarda anche noi, in un mondo sempre più globalizzato ed economicamente distorto.
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