Di Elena

Delineare il confine tra il russo e il non russo è un’impresa che richiede un grande sforzo storico nonché immaginativo e fantasioso. Nella sterminata cultura russa non esistono elementi di unità che rendono quell’immenso stato multietnico un’unità compatta. Ciò che paradossalmente li unisce, è la consapevolezza delle proprie differenze che li rende unici e che li protegge dai tentativi di prevaricazione dell’una o dell’altra cultura. Il gigante russo si è sempre mosso con estrema lentezza, anche perché il contesto di mezzo in cui si trova (tra Europa e Asia) lo vede costantemente coinvolto in due mondi antitetici. I confini sono labili, li decide la storia con altalenante parzialità che, come la divinità bendata della saggezza, scombina e ricombina le carte non sempre seguendo ragione o premiano il coraggio ardito dei soldati che combattono o dei filosofi che animano i cuori dei contendenti. Oggi ce ne rendiamo conto guardando alla guerra in Ucraina, piò o meno legittima. È considerabile come una guerra anche europea, o meglio, ci son europei in questa guerra? Come consideriamo questo lento ma pesante gigante russo?

La volontà di europeizzare il paese che aveva dominato il regno di Pietro il Grande è un modo per incentivare un’unione nazionale che non è ancora del tutto formata e comunque troppo legata ai dettami religiosi a causa dell’origine della lingua russa, nata per veicolare messaggi cristiani e per tradurre testi sacri.

Con l’introduzione di un alfabeto civile nel 1708 la presenza della cristianità nella comunicazione quotidiana viene parzialmente accantonata e alcune lingue moderne entrano a far parte dell’educazione dei russi. Il “Dante” russo che ha definito i contorni della lingua tutt’ora in utilizzo è Puskin nella prima della metà del XIX secolo anche se questa verrà destinata ai soli scopi letterari (con il tempo ricoprirà anche altri campi). Nondimeno, va sottolineato come il russo derivi da tante diverse lingue: dal bizantino al francese passando per il mongolo. Tuttavia, occidentalizzare un paese con una superficie così ampia è un’impresa che richiede anni, soprattutto se all’interno convivono tante etnie ibride che mantengono con fiera ostinatezza le proprie identità comunitarie a fronte di una nazionale.Di fatti l’origine dei primi russi come gruppo etnico secondo storici ed antropologi è slava inprevalenza orientale (forse dei Rus’ di Kiev) che, successivamente a unioni e disgregazioniha dato origine a nuove popolazioni molto dissimili tra loro.

In controtendenza rispetto all’epoca precedente, le manovre zariste ottocentesche mirano a distaccare la Russia dall’Europa creando così una nazione culturalmente e storicamente indipendente, vengono incentivate da un gruppo di intellettuali che puntano alla creazione di un’identità russa, lontana dalla contaminazione dei salotti europei. Paradossalmente, in parallelo a questo allontanamento forzato, i grandi romanzi realisti russi del XIX secolo si fanno conoscere nel Vecchio Continente e attraggono su di sé studi e attenzioni particolari. Nasce così una vera e propria passione per la letteratura russa che nasce con Puskin e fiorisce con i grandi maestri del realismo iniziando da Gogol’ (1809-1852) per proseguire poi con i celeberrimi Tolstoj e Dostoevskij. Finalmente la scrittura russa prende forma e si crea un suo spazio nell’olimpo dell’arte letteraria fino a quel momento dominata dai romanzieri europei.

Ben presto le élites si rendono conto della difficoltà prodotta da questa frenetica volontà di rinascita nazionale. Il problema principale da affrontare è quello di creare una storia o una discendenza comune che permetta al popolo di identificarsi sotto un’unica bandiera. Progetto arduo e tardivo per la Russia, i vari stati europei, anche il nascente Regno d’Italia, hanno già i loro miti fondativi; in terra italica, ad esempio, è ancora vivida la memoria dell’Eneide virgiliano composto per volere augusteo nel I secolo a. C. La proposta più apprezzata dai russi (oltre alle discendenze mitiche della famiglia dello zar) riguarda l’idea di concepire Mosca come la “Terza Roma” (dopo Roma e Costantinopoli), credenza nata con Ivan III nel XV secolo, dato il matrimonio di quest’ultimo con Sofia Paleologa, nipote di Costantino XI, ultimo imperatore di Costantinopoli. Grandi sostenitori di questa concezione sono gli slavofili: movimento culturale che punta a costruire una tradizione unitaria e selettiva, come succedeva nei vicini stati europei. Questa colonna portante della cultura preme forte sulla memoria storica dei russi che ora sembrano aver rispolverato proprio quel cassetto, memori forse degli antichi splendori e del ruolo che hanno giocato nello scacchiere europeo del novecento data l’enorme influenza che si sono divisi con gli USA; il paese della potenza sovietica cerca di ricordare le vittorie più delle sconfitte.

Le guerre fratricide uccidono lo spirito e non solo il corpo. Esse però creano anche progresso, come voleva Hegel, un progresso che permette di costruire un futuro in cui lo spirito si trasformi in assoluto. Ucraini e russi fanno parte di un’unica famiglia e questo prima o poi lo ricorderanno. L’Europa non può appartenergli come succede con gli stati storici che compongono questo continente. Stati che hanno sparso sangue in grande quantità ma che ora puntano il dito contro chi scatena le armi, invocando accordi di pace ma finanziando la guerra. L’unità degli animi prima o poi prevarrà come la ciclicità della storia ci ricorda, non importa quanto terze parti con meschina strategia tentino di metterci lo zampino.