Di Lemmy
Il Donbass è al centro del braccio di ferro russo-ucraino dal 2014, ma è solo la punta dell’iceberg delle questioni alla base di un conflitto ben più che millenario. Ripercorriamo la storia di quanto accaduto fino ad oggi.
Come nella miglior tradizione romana, la fondazione del primo impero russo affonda le radici nel mito, che possiamo presumibilmente datare ben prima dell’anno 1000. Il primo riferimento che abbiamo risale a prima del 850 d.C.: si tratta di resti scritti degli storici dell’epoca riconducibili all’Abbazia di San Bertino. Negli Annales Bertiniani vengono citati i primi sovrani di una tribù violenta e dedita alla guerra, nominata come Rhos (spesso trascritto come Rus’), con un protovillaggio (oggi Kiev) come centro culturale e politico. Tale tribù finì per attaccare persino i popoli stanziati ai confini dell’Impero Bizantino. Stando alla fonte storica, i Rus’ assoggettarono al tributo queste popolazioni, che successivamente si ribellarono al loro giogo:
«859. Anno 6367. Levarono tributo i Varjaghi d’oltre mare sui Čudi e sugli Slavi, sui Meri e sui Vesi e sui Kriviči. Mentre i Chazari lo riscotevano dai Poliani, e dai Severiani, e dai Vjatiči riscotevano monete d’argento e pelle di scoiattolo per ogni focolare»
Tale situazione di egemonia rimase in auge almeno fino al XVII secolo, avanzando e retrocedendo a fasi alterne e talvolta fondendosi con numerose propaggini di provenienza bizantina, tra cui il matrimonio tra la sorella dell’imperatore Basilio II, Anna Porfirogenita, e il re dei Rus’ Vladimir I nel 988, che rese il Rus’ di Kiev un regno a maggioranza Cristiana.
Nel corso dei secoli, il Rus’ (o regno) Ucraino, venne invaso molteplici volte, prima dai lituani, poi dagli austro-ungheresi, in seguito dai russi, poi dai tedeschi e per una breve parentesi del ‘900 venne smembrato tra Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Solo al termine della Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione sovietica, l’Ucraina venne finalmente unificata ed annessa ai territori dell’URSS. Sempre in Ucraina, i sovietici si resero protagonisti del cosiddetto “Holodomor”, una carestia pilotata dal Partito Comunista di Stalin che dimezzò la popolazione in Ucraina e che ancora oggi, è il padre fondatore del risentimento ucraino nei confronti di Mosca.
Nel 1954, per celebrare “i 300 anni di amicizia tra Ucraina e Russia”, l’URSS decise di annettere la Crimea all’Ucraina, togliendola alla Federazione Russa, durante la presidenza di Chruščëv. Nel periodo sovietico ebbe grande sviluppo industriale il bacino carbonifero del Donbass e ciò spostò l’equilibrio economico dell’Ucraina a favore delle aree più orientali e russofone. Nel 2004 il Paese visse una “rivoluzione arancione” e si avvicinò all’Europa, vedendo in quest’area un baluardo di difesa contro l’espansionismo russo, da contrastare per poter rimanere indipendente. Ma le crisi politiche dovuti ai rigurgiti indipendentisti del Donbass e imponenti movimenti di piazza sfociarono nella “rivoluzione ucraina del febbraio 2014” contro il presidente Yanukovich, che si rifiutò di firmare l’accordo di associazione con l’UE.
Le stesse aree del Donbass sono quelle che dalla primavera dello stesso anno, insorsero contro le autorità ucraine, sobillate da quella che molti esperti ritengono una sofisticata campagna di “operazioni sulle informazioni” attuata da Mosca, e condotta con ben studiate tecniche di manipolazione e gestione dei mass media, nel quadro del concetto di “guerra ibrida”.
Dal 2014 al 2015, mentre in Italia si discuteva della Cannabis terapeutica e degli 80€ in più in busta paga, i cieli dell’Europa dell’Est venivano squarciati dalle scie luminose dei traccianti e dal rombo dell’artiglieria. Occupati con la forza edifici governativi e basi militari, entro la fine di maggio i rivoltosi proclamarono l’indipendenza delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk, procedendo alla costituzione di milizie armate. Ben presto risultò chiaro che una così rapida creazione di queste formazioni ebbe luogo solo grazie al supporto tecnico e operativo del loro principale sponsor: la Federazione Russa.
Persa la Crimea, l’Ucraina non poté cedere senza combattere un’altra porzione del suo territorio; pertanto, nel nome dell’unità nazionale, il governo di Kiev lanciò quindi la cosiddetta Anti-Terroristichna Operatsiya (ATO, “operazione anti-terrorismo”), con lo scopo di riprendere pieno possesso di tutto il territorio del Donbass. L’operazione si sviluppò con le forze ucraine “lealiste” che riuscirono a riconquistare avamposti strategici come la base aerea di Kramatorsk, la città costiera di Mariupol, sulle rive del Mar d’Azov, e soprattutto l’aeroporto di Donetsk. L’obiettivo principale era accerchiare i centri di comando dei rivoltosi, tagliando di netto gli approvvigionamenti via terra in grado di arrivare da oltre il confine russo. Oltre a ciò, le forze di Kiev iniziarono a posizionarsi lungo i principali punti di accesso lungo la frontiera. Per tutta risposta, infervorata dalla oramai arcinota “sindrome da accerchiamento”, l’artiglieria dell’esercito russo intervenne contro di loro con pesanti concentramenti di fuoco,
La più devastante di queste azioni di fuoco, condotta l’11 luglio a Zelenopillya, nella regione di Lugansk, riuscì a neutralizzare in pochi minuti due interi battaglioni meccanizzati ucraini. Come rappresaglia, venne abbattuto da una batteria contraerea ucraina un veicolo che sorvolava l’area dei combattimenti. Peccato che fosse il volo civile completamente innocuo denominato MH-17 della Malaysia Airlines, colpito da un missile e precipitato con 298 persone a bordo.
Nonostante le crescenti difficoltà e i numerosi passi falsi come quello appena raccontato, alla fine di luglio e ad agosto 2014 l’offensiva ucraina riprese vigore, con nuovamente l’obiettivo di tagliare tutti i collegamenti tra le due repubbliche ribelli e la Russia. Putin non si fece certo intimorire dalla costanza dei lealisti ucraini e schierò numerosi plotoni colmi di armi ed equipaggiamenti, di “volontari” specializzati nell’impiegare i materiali e i sistemi d’arma più sofisticati. A questi si aggiunsero poi i distaccamenti Spetsnaz, che già da tempo operavano a fianco dei ribelli. L’offensiva continuò per più di un anno, con costanti ed altalenanti risultati ottenuti da ambo i lati.
A porre un primo freno alla guerra contribuirono le pressioni della comunità internazionale, che sempre più preoccupata dell’escalation del conflitto riuscì a portare i governi di Mosca e Kiev al tavolo delle trattative. Queste si conclusero con l’entrata in vigore degli Accordi di Minsk, un cessate il fuoco denominato così dal nome della capitale della Bielorussia dove si svolsero i colloqui. Ad oggi, gli accordi di Minsk sono saltati con il riconoscimento formale da parte della Federazione Russa delle due repubbliche del Donbass. Il casus belli del 2022 è stato la paventata richiesta dell’Ucraina di adesione alla NATO, che se accettata, avrebbe potuto ammassare un quantitativo di armi e truppe filoamericane alle porte della Russia.
Se da un lato vi è quindi un governo nazionale ucraino che tenta, con esiti più o meno soddisfacenti, di mantenere unito il territorio, dall’altro lato vi è il sentimento tipicamente russo della paura di rimanere completamente circondata da paesi ostili, in grado di ledere al paese.
Realtà? Follia? Paranoie di Putin oppure reali sentimenti di odio da parte dell’Ucraina? È inutile farsi ora queste domande, la guerra ormai è iniziata. Al di là delle motivazioni, al di là del tifo da stadio pro-Mosca o pro-Kiev e, sfortunatamente, anche al di la di ogni buon senso.
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