di Enrico

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una lotta senza quartiere e alla formazione di vere e proprie tifoserie da stadio che, a colpi di «lo dice la scienza» e di vari «giù le mani dai bambini», si sono scannate su temi come il vaccino anti-Covid, il green pass e tutto quello che già sappiamo.

Da un lato si cerca di ergere la scienza a fonte di prescrizioni etiche, facendo passare quindi il messaggio che (almeno nel nostro caso, in Italia) ogni cosa, anche assurda, che un virologo possa dire appena si sveglia alla mattina, vada presa per verità biblica.

Dall’altra invece si ha una completa sfiducia nel sapere scientifico che, malgrado tutte le opinioni che si possono avere su diversi temi, ha comunque un fondamento e segue delle regole ben precise.

In entrambi i casi si compie un errore madornale; ovvero il mescolare, in un gran calderone, le considerazioni etiche su un determinato fenomeno con i dati scientifici su quello stesso fenomeno.

Spesso questo dà il via ad una sequela di altri errori e fallacie logiche; prima fra tutte la tendenza a considerare la scienza “buona” solo quando dà ragione alle nostre convinzioni personali. Ma ovviamente non è questo il compito della scienza; il suo compito non è “dare ragione” ad una parte o all’altra. La scienza si occupa di “interpretare l’universo” attraverso i dati fenomenici di cui si dispone. Questo fa, o almeno dovrebbe farlo, prescindendo totalmente da ogni tipo di considerazione etico-morale. Quindi, come gli specialisti separano la scienza e l’etica, allo stesso modo dovrebbe essere in grado di farlo anche chi non fa parte di quella categoria di studiosi.

La scienza non dà (e non deve dare) prescrizioni di tipo etico. Infatti, alcune opinioni più che sensate e giustificate da un punto di vista etico, potrebbero non coincidere con il sapere scientifico.

Un esempio di come scienza e valori etici non sempre vadano di pari passo, è la recente ipotesi che pian piano sta prendendo sempre più piede tra gli scienziati, sull’origine dell’umanità dall’ibridazione dell’Homo Sapiens con altre forme arcaiche di uomo. Vediamo quindi come questo può andare a stridere con i valori etici di una determinata parte politica che spesso (non sempre) è dalla parte del «lo dice la scienza» (beninteso, non vuol dire che dall’altra ci sia una massa di diffidenti antiscientifici).

Questa teoria sta pian piano sostituendo quella che prima andava per la maggiore. Fino a non molto tempo fa infatti, la comunità scientifica era quasi totalmente d’accordo nel dire che tutti gli esseri umani discendono dall’Homo Sapiens in egual misura, poiché l’Homo Sapiens avrebbe sostanzialmente vinto la lotta darwiniana per la sopravvivenza con le altre specie di Homo (l’Homo Afarensis, l’Uomo di Neanderthal ecc…). Quindi, seguendo questa teoria, se l’Homo Sapiens è l’unico sopravvissuto di tutte le specie di Homo, tutti gli esseri umani sono discendenti allo stesso modo dell’Homo Sapiens, indipendentemente dalla loro zona di provenienza. Naturalmente una teoria di questo tipo metteva una pietra tombale su ogni possibilità di scientificità sull’esistenza di diversi gruppi razziali interni all’umanità.

Negli ultimi sei o sette anni invece questa teoria ha iniziato ad essere pian piano scalzata in favore della cosiddetta “Teoria dell’ibridazione”.

Secondo questa teoria, l’Homo Sapiens si è evoluto non essendo però l’unico “Homo” presente nel mondo; esisteva ad esempio l’Uomo di Neanderthal, il nostro parente più stretto, che era maggiormente presente in Europa, e via dicendo. Sembra quindi che nelle varie zone del mondo, le diverse specie di Homo (non Sapiens) si sarebbero incrociate e amalgamate tra loro, ma pare che queste “mescolanze” fossero molto territoriali e che questo processo non sia avvenuto nello stesso modo in tutte le parti del mondo e soprattutto non con lo stesso rapporto tra gli “ingredienti”.

Esemplificativo in tal senso è il confronto tra la presenza di circa l’1-4% di DNA del Neanderthal nel genoma delle popolazioni euroasiatiche e la quasi totale assenza dello stesso nel genoma delle popolazioni sub-sahariane. Meno presente ancora è tale DNA nelle popolazioni native del Continente Americano che, secondo la teoria della deriva dei continenti di Wegener, si era già staccato da molto tempo, nel periodo di cui stiamo parlando.

Insomma, pare che gli uomini in Europa, in Africa, in America (in questo caso le popolazioni native, non i colonizzatori arrivati dall’Europa a partire dal ‘500, beninteso), in Asia e in Australia non siano biologicamente del tutto gli stessi uomini.

Ma perché questo potrebbe stridere con i valori etici di una certa parte politica che, come detto prima, si definisce tendenzialmente “ultrà della scienza”?

Perché se questa teoria dovesse essere non più solo una teoria, ma un fatto scientificamente provato e se essa dovesse definitivamente scalzare la teoria dell’origine in egual misura di tutti gli esseri umani dall’Homo Sapiens, allora questo vorrebbe dire che la tesi sull’esistenza delle razze umane (ritenuta una cosa vecchia, risalente al XIX – XX secolo), potrebbe avere in un certo senso un fondamento scientifico, anche se diversa da com’era formulata in passato.

Seguendo l’idea per cui la scienza deve dare anche prescrizioni etiche, se questa teoria dell’ibridazione dovesse diventare la teoria definitiva sull’origine dell’uomo, quante persone che propugnano l’uguaglianza di tutti sopra a tutto e che non riconoscono alcun tipo di suddivisione o predisposizione, nemmeno in ambito fisico, si ritroverebbero quindi di colpo ad avere opinioni e valori antiscientifici?

Ecco, questa è la dimostrazione di come scienza ed etica non vadano affatto di pari passo e del perché la scienza si debba continuamente confrontare con la filosofia (la disciplina che si occupa di etica per eccellenza), ma senza mescolarsi ad essa.

Insomma, il tema è estremamente complesso e soprattutto è piuttosto spinoso. Di certo non ne verremo a capo con questo articolo; la teoria che abbiamo usato come esempio per spiegare il contrasto tra scienza e valori etico-morali, è infatti poco nota all’opinione pubblica per ovvi motivi, ma appunto la scienza non può tenere conto di considerazioni etico-morali di qualsiasi tipo e soprattutto non può bloccarsi di fronte al “politicamente corretto”.

Il problema è enorme, forse non ne verremo mai a capo, ma su una cosa possiamo agire; imparare ad usare il ragionamento critico ed evitare le tifoserie da stadio quando si parla di argomenti così importanti. Non solo per la questione che abbiamo finora trattato, ma per ogni campo che richieda il nutrimento della razionale diffidenza.