Di Sergio
Cosa c’è di più stantio e noioso della retorica di Capodanno? Poco o nulla. Eppure, eccoci qui, nel tentativo di tracciare un bilancio dell’anno passato e una prospettiva per i trecentosessantacinque giorni che già ci separano dal 2023. Non parlerò di buoni propositi: le chiacchiere le lasciamo agli altri, le parole vuote non ci interessano. Perché proprio di parole vuote siamo circondati. Pronunciate da uomini vuoti, quei Hollow men di cui Eliot già cantava l’avvento nel 1925, quando dopo l’esaurimento nervoso vergò i famosi versi divenuti universalmente celebri: è questo il modo in cui finisce il mondo / non già con uno schianto ma con un lamento”.
A pensarci bene non aveva tutti i torti, no? Ed è strano come questa sottile ombra che nella poesia cade fra l’idea e la realtà, fra il movimento e l’atto, fra la potenza e l’esistenza sia proprio uno dei motivi ricorrenti dell’ultimo blockbuster firmato Netflix: Don’t look up di Adam McKay. Tutto il film (come la poesia di Eliot) gioca sull’impotenza, l’ipocrisia e l’ipocondria di una società alienata, distratta, grottescamente impotente. Un’alienazione non causata dei mezzi di produzione, come avrebbe detto Marx (anche perché non produciamo più un cazzo) ma a causa dell’assenza di Dio, o almeno di un’idea: un’essenza numinosa che sia motore intimo delle azioni.
Qualcuno potrebbe ridurre il film alla semplice messa in scena dell’archetipica sindrome di Cassandra: un gruppo di uomini va a dire al mondo che il mondo finirà ma nessuno gli crede, o meglio, nessuno gli vuole credere perché l’Apocalisse non ha interessi televisivi ed elettorali. Non è così semplice però. Infatti, se Cassandra era inascoltata perché di fronte aveva uomini con uno spirito eroico e tragico, pronti a rigettare il fatalismo fino alle estreme conseguenze (vedi la fine di Troia), gli uomini che Di Caprio e la Lawrence si ritrovano davanti alla loro ammonizione sono semplicemente vuoti, ipocriti fino al midollo, rassegnati, infimi. Nemmeno lo scossone può rianimarli. Un grande spaccato del 2021 che giunge su Netflix proprio nel suo volgere al termine.
Casualità? Forse. O forse no. Perché se ancora non c’è la cometa che punta dritta verso il nostro pianeta, don’t look up (letteralmente: non guardare su) è l’imperativo perfetto del nostro presente, che al contrario del film (va detto) non ha nemmeno il lusso di un’apocalisse annunciata e dello schianto imminente, ma soltanto il lento, monotono, lamentoso scivolare verso l’oblio. In fondo cosa ci manca?
Tutto è ripartito e razionato, ordinato e igienico. Abbiamo tutto al costo gratuito di una dose. Avete mai visto uno spacciatore che regala la sua roba? No? Basta recarsi ad un hub, dove il siero (non vaccino) viene spacciato gratuitamente per un semestre di libertà. Libertà di fare che poi? Di continuare a consumare, di continuare ad obliarsi nell’eterno ritorno di lavoro>casa>bara. Non guardare su potrebbero tatuarselo Mario Draghi o la Von Der Leyen (rigorosamente in bianco e nero), potrebbe essere l’inno dei grandi media, dei giornalisti, dei poliziotti, dei benpensanti: stai a testa bassa, non alzare lo sguardo, non guardare oltre. Questo è il mondo bello di mamma e non c’è alternativa. È l’epitaffio sulla bara aperta dell’uomo occidentale, troppo stanco per vivere e troppo pauroso per morire, troppo impegnato a preoccuparsi di far parte del mare di fango per ricordarsi di guardare le stelle…
Insomma, il 2022 non si apre sotto i migliori auspici. Ma noi non siamo qui per fare le Cassandre o i profeti di sventura, non siamo qui per ritirarci nei boschi in attesa di una nuova Era. L’anno che ci lasciamo alle spalle è stato più che mai prolifico di idee ma soprattutto d’azione: manifesti, idee-forza, proteste ed occupazioni, tante vittorie nelle scuole da cui ripartire dopo il grigiore dei lockdown. Sotto la polverosa patina delle restrizioni qualcosa ribolle, com’è sempre stato quando la mediocrità si fa stile di vita e modello di studio, è solo questione di installarsi come tante piccole unità energetiche: piccole stazioni geotermiche pronte a trasformare il ribollire della terra in energia.
Diffidate di chi parla dei giovani ma ancora di più di chi parla per i giovani. Siamo noi a dover parlare: con la nostra lingua, con la nostra voce e le nostre idee. Il giro di vite che i regimi democratici stanno dando alle (i)nazioni d’Europa sono stringenti e quello che si preannuncia è uno stato permanente d’eccezione: ovvero una nuova normalità in cui ci aspetta l’avvento dell’ultimo uomo. Una sorta di paleolitico digitale, preistorico e senza prospettiva in cui una razza indistinta e androgina vivrà nella pace permanente di Kantiana memoria, dove una società comunista e collettivizzante figlia del Capitale (in tutti e due i sensi…), in cui nessuno sarà proprietario di nulla (nemmeno di sé stesso), sarà il mercato senza fine del liberismo economico. Bello no? In fondo è possibile, sta già accadendo. Basta non guardare su…
Non c’è via d’uscita dal labirinto se non al centro: non bisogna trascorrere questa vita alla ricerca della porta col maniglione antipanico, ma accettare la sfida e continuare a percorrere la propria strada fino in fondo. Il mistero della vita non è un problema da risolvere ma una realtà da sperimentare. Nonostante oggi si faccia solo retorica sul come schivare la vita (dicono che puoi addirittura diventare il campione di questo sport paraolimpico), su come evitare il dolore, mentre i giovani sono il primo dato sulle tabelle dei suicidi, bisogna affermare l’unico dato oggettivo che questa realtà impone: il tempo non è infinito per nessuno. Come vuoi passare i tuoi giorni, cercando di prolungarli o usando il tuo tempo? È un quesito su cui confrontarsi almeno una volta nella vita, in primis con sé stessi, poi con i nostri amici, amanti, colleghi e parenti. In fondo che cos’è l’uomo se non un nodo di radici e un fascio di relazioni? Siamo nodi e ponti allo stesso tempo. Pensarci come atomi o solitari eremiti è il favore più grande che possiamo fare al mondo unidimensionale che si sta costruendo intorno a noi come un programma strutturale di Matrix.
Perciò quest’anno non vi dirò di “sostenere il commercio locale”, di boicottare le grandi multinazionali, amazon e centri commerciali. Davvero ci riduciamo solo a questo? La rivoluzione è solo cambiare acquisti e consumi? Fai una cosa più rivoluzionaria: diserta i luoghi comuni, boicotta i compromessi, non farti comprare, non metterti in coda alle farmacie o agli hub per una dose di libertà. Non rinchiuderti in luoghi chiusi. Diventa qualcosa di più di un consumatore. Mettiti al servizio. Interessati al prossimo e a ciò che ti accade intorno. Forma un gruppo, una comunità, in cui essere parte integrante di un destino che non si esaurisce in questa vita ma si proietta aldilà di essa. Respira. Guardati intorno. Viaggia. Non siamo un pacchetto turistico. Il mondo è più bello di un metaverso inventato da menti polverose. Non farti comprare da nessuno. Prenditi un impegno. Assumiti una responsabilità. Compi ogni azione come fosse l’ultima. Ridi. Scherza. Non prenderti troppo sul serio. Donati. Fai una promessa, la più pazza e folle che tu possa immaginare e mantienila finché hai respiro. Odia gli stupidi, i mediocri, i conformi. Odia i buoni e i loro buoni propositi. Ama piuttosto le parole che diventano azione. Ama chi resta fedele. Ama chi non molla mai. Ama gli schietti. Ama l’impegno e la dedizione senza condizioni. Non avere emozioni effimere o indignazioni gastriche. Ama, odia, infuriati come un personaggio delle saghe mitiche. Non ragionare dall’oggi al domani, pensa alla tua vita come un impero in costruzione.
Non essere la copia, di una copia, di una copia… non identificarti in un qr code e non fare il poliziotto, nemmeno di te stesso. Infine, look up! Guarda su. Troverai gli occhi di brace proprio in fondo alla nebbia della cortina digitale. Tra gli ultimi uomini, quelli vuoti e senza entusiasmo, già ci sono i primi uomini. Può sembrarti poco, ma è già un inizio…
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