di Lemmy
Fu la celebre rapina di via Osoppo, avvenuta il 27 febbraio del 1958, a segnare il punto di svolta per la ligera, che da malavita popolare, considerevole ma pur sempre provinciale, si trasformò concretamente in calcolatrice ed organizzata.
Definito dalla stampa di allora “il colpo del secolo”, per la prima volta si trattò di un’azione organizzata nella quale vennero usate delle armi (anche se non venne sparato un colpo, i banditi si limitarono a puntare i mitra e a terrorizzare gli astanti).
L’ideatore della rapina fu Ugo Ciappina, ex partigiano gappista scappato alla legge, leader della “Banda Dovunque”, capeggiante i cosiddetti “Sette Uomini d’oro”. La Banda Dovunque era celebre per essere stata vista battere ogni banca e gioielleria in tutto il nord Italia, spostandosi solo su auto sportive rigorosamente rubate e poi date alle fiamme. I Sette Uomini d’oro invece appartenevano a diverse realtà autonome, e si erano dati tregua unicamente per questa rapina. Una novità per il mondo della ligera.
La stampa definì il colpo “la più sensazionale rapina che mai la cronaca milanese abbia registrato“, definendo (onorevolmente, direbbero lorsignori i banditi) la metropoli milanese “alla pari con Chicago.” I rapinatori fuggirono con un bottino per l’epoca scandaloso, pari a 614 milioni di lire. La bella vita li travolse però, e nel giro di un mese, ironicamente il primo giorno di aprile, la polizia li arrestò riuscendo tramite informatori e fonti confidenziali ad identificare i pagamenti in contanti usati per le spese folli dei Sette.
“Ci sentivamo i padroni di Milano, avevamo addosso una grande spavalderia. In fondo è stato meglio che ci abbiano presi altrimenti chissà dove saremmo arrivati” disse anni dopo in un’intervista Luciano De Maria, uno dei Sette della banda.
La Preparazione
Era il terzo tentativo dei Sette Uomini d’Oro. I due precedenti erano andati a monte: in uno addirittura avevano scambiato il furgoncino del latte con quello del portavalori. Ormai bisognava andare fino in fondo. Tutto era stato studiato nei minimi particolari dal trentenne Ciappina. Il resto della Banda comprendeva gli altri fuorilegge Luciano De Maria, Arnaldo Gesmundo, Ferdinando Russo, Arnaldo Bolognini, Enrico Cesaroni ed Eros Castiglioni.
L’obiettivo della banda era il portavalori che all’epoca riforniva le filiali della Banca Popolare di Milano tre volte alla settimana effettuando, come un orologio svizzero, il medesimo percorso. Dove si doveva colpire? All’incrocio tra via Caccialepori e via Osoppo, dove oggi c’è un tabaccaio, dal lato opposto alla scuola. I ferri del mestiere? Due ciascuno, uno a canna corta e una mitraglietta leggera. Non bisognava sparare un colpo. Pena, la perdita del valore etico del colpo. Erano tutti bravi ad ammazzare per rubare. I banditi veri non spillavano una goccia di sangue. I veicoli, rubati diversi mesi prima, erano pronti e con le finte targhe già montate.
Il Colpo
Sul furgone della banca c’erano tre persone. L’autista, il commesso della Banca Popolare di Milano e l’agente di polizia del III reparto, con la pistola d’ordinanza. Il furgone, tutt’altro che blindato, arrivò puntuale nella zona dell’imboscata. Poco dopo le 09:20 un’utilitaria Fiat 1400, guidata da Arnaldo Gesmundo, lo superò e iniziò a sbandare, per poi schiantarsi contro un muro. Era quello il segnale.
L’autista del furgone, quella buon’anima, si fermò e scese dal suo veicolo, per accertarsi delle condizioni del Gesmundo, non capendo che quell’incidente nient’altro era che un diversivo. Pochi istanti dopo infatti un furgoncino guidato dall’altro Arnaldo, il Bolognini, tamponò il portavalori. Nessuna via di fuga quindi, né davanti né dietro. Arrivò il terzo mezzo, ad affiancarli superando la breve coda formata dal piccolo ingorgo che si era appena creato. Da questo scesero i Sette, tutti vestiti con la tuta da operaio e i passamontagna a travisarne i volti. Armi in pugno, accerchiarono rapidi il portavalori e, senza violenza e senza sparare un colpo, requisirono i 614 milioni di lire in contanti. Un quarto veicolo, pronto per la fuga dall’altro lato della strada, attendeva col motore acceso e un complice dentro.
«Ufficialmente sì, tutti scrivono e proclamano che sono contenti, anzi entusiasti del fatto che i criminali siano stati smascherati in modo tale da togliere a chiunque la voglia di imitarli. Ma, sotto sotto, senza osare dirlo o dicendolo a bassa voce, la maggioranza tifava per i rapinatori.»
Indro Montanelli
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