di Enrico
Vi siete mai chiesti come mai ad ogni avvenimento “insolito” si scateni un immenso putiferio?
Perché se muoiono due soldati americani in qualunque parte del mondo il presidente degli Stati Uniti deve renderne conto davanti al paese?
Perché ogni volta che in piazza c’è una manifestazione un po’ “movimentata” ed esplode una bomba carta (anche senza ferire nessuno), per giorni e giorni i media (dai quotidiani, ai telegiornali, ai talkshow) non parlano d’altro e ne parlano come se fosse successo il finimondo?
Perché se esplode una pandemia il mondo si blocca ed essa diventa improvvisamente l’unico problema da combattere, anche a costo di mandare in rovina intere nazioni?
Eppure, guerre, sconvolgimenti sociali (e perché no, anche rivoluzioni) ed epidemie ci sono sempre stati, fanno parte di ogni civiltà umana.
E allora perché? Perché continuiamo a stupirci di fronte ad avvenimenti come quelli sopracitati?
La risposta è molto semplice: abbiamo paura dello sviluppo della storia.
Cosa vuol dire però questo nel concreto? Da anni ormai abbiamo la sensazione che la storia sia qualcosa di distante da noi, qualcosa che si studia nei libri; insomma, qualcosa di finito.
Ed è proprio qui che sbagliamo: la storia non si ferma e il periodo che stiamo vivendo da due anni a questa parte ne è la conferma.
Se qualche anno fa avessimo parlato di epidemie, ci sarebbero venute in mente le epidemie di peste del medioevo e dell’età moderna, ma mai e poi mai avremmo pensato potesse succedere nei nostri giorni. Stesso discorso per gli sconvolgimenti sociali; ci sarebbero venute in mente le grandi rivoluzioni del Settecento e dell’Ottocento, al massimo gli anni di piombo, ma mai avremmo pensato di vedere le piazze piene ogni fine settimana.
La storia, quindi, non è finita; essa va avanti e noi ne siamo parte. La storia è, come già scrisse il grande poeta inglese William Blake in una sua famosa poesia (The Tyger, 1794), come una tigre. Meravigliosa e terribile allo stesso tempo. Secondo alcuni critici letterari, infatti, nella poesia di Blake, la tigre sarebbe da interpretare come un’allegoria della Rivoluzione Francese (di cui Blake fu contemporaneo e sostenitore accanito) e del suo ruolo nella storia. E la storia non si fermerà di certo perché qualche molle borghese ha paura di essa ed ha quindi deciso di fingere che essa sia finita.
La storia è quindi una tigre che, se non si è in grado di domarla, sbrana chiunque senza pietà.
Certamente, per chi non ha mai vissuto un periodo di grandi avvenimenti, è molto comodo pensare che sia finita; tutto ci appare più tranquillo, viviamo in una campana di vetro che ci dà un’incredibile sensazione di serenità, che in realtà è semplicemente sintomo di debolezza e paura.
Questa bolla mentale è il prodotto di anni ed anni di liberalismo, di moderatismo e consumismo sfrenato; siamo convinti che questo sia il migliore dei mondi possibili e non vorremmo cambiarlo per nulla al mondo. E quindi è molto comodo pensare che ciò che per secoli, se non millenni, ha comportato i grandi cambiamenti epocali, ovvero lo sviluppo della storia umana, sia finito.
Ed ecco spiegato perché ci spaventiamo così tanto quando la storia viene, di tanto in tanto, a svegliarci dal torpore narcotico in cui siamo immersi.
Ma questa non è la realtà, è solo una finzione. Una finzione dalla quale è, oggi più che mai, necessario uscire, e al più presto.
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