Di Enrico

Perché la maggior parte degli esseri umani ha paura della guerra, della violenza, dello scontro? Una domanda a cui forse non troveremo mai una risposta, se non che l’uomo, ormai forse neanche più degno di essere classificato come tale, cerca la tranquillità, la pace perpetua, come diceva Immanuel Kant.

Ecco, forse è proprio con Kant e il suo saggio ‘Per la pace perpetua’ che entra nel sentire comune dell’uomo occidentale medio la “necessità” di un’assenza duratura di conflitto, di una duratura stabilità.

Forse non sapremo mai per quale motivo l’uomo sente questa spinta innaturale verso la pace, ma possiamo provare a capire perché invece sia necessario il suo esatto opposto; ovvero la guerra. Una tesi apparentemente non facile da sostenere ma, come vedremo, la mente umana è in grado di fare anche questo.

Possiamo, prima di tutto, notare come la nostra civiltà ne sia permeata.

Innanzitutto, quand’è che un pensatore ne parla per la prima volta come un qualcosa di necessario e, in un certo senso, addirittura fecondo? Quasi certamente possiamo affermare che questo avviene con Eraclito, che scrisse: “Pòlemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte è re; gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi”.

È dunque qualcosa che produce il divenire della storia, che la svecchia. È ciò che fa muovere tutto il mondo. Da lì in poi tutte le grandi civiltà europee (dai greci e dai romani, passando per il medioevo, fino al ‘600-‘700) hanno avuto quasi sempre nel loro sentire comune, in quello che potremmo chiamare con un termine ottocentesco il Volkstum, ossia “carattere nazionale” o “folklore”, un grande rispetto della guerra, salvo pochi intellettuali isolati ed antimilitaristi ante litteram. I greci hanno costruito la loro identità sui poemi epici di Omero, sulla loro resistenza eroica contro i persiani. I romani non erano da meno, facendo risalire l’origine della civiltà romana a due atti estremamente violenti; l’arrivo di Enea nel Lazio e il conseguente scontro con i Rutuli e i loro alleati Latini, descritta nella seconda metà dell’Eneide e poi, soprattutto, l’uccisione di Remo da parte di suo fratello Romolo. Basterebbe per capire ciò, gettare uno sguardo generale sulla storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente; oltre mille e duecento anni di guerra senza interruzioni (escludendo la Pax Augustea, naturalmente).

Nel medioevo la situazione non cambia per nulla e anzi, se ne rafforza l’ammirazione nel sentire collettivo; basti pensare alle “chansons de geste”, al ciclo carolingio, ai trattati scritti da teologi di altissimo livello in cui si eleva da “cosa spiacevole, che però ogni tanto è necessaria” a guerra santa, poiché siamo in periodo di crociate. Il più famoso di questi trattati è senza dubbio “Elogio della nuova milizia” di San Bernardo di Chiaravalle, nel quale il grande teologo spiega accuratamente i motivi della Guerra Santa e tesse una stupefacente lode dei guerrieri cristiani, in particolar modo dei Cavalieri Templari.

Anche dopo il medioevo, la concezione stenta a cambiare; la mentalità collettiva è totalmente permeata dal mito guerriero. Basti pensare all’enorme ondata propagandistica che ha investito l’Europa all’indomani della battaglia di Lepanto, nel 1571.

Fatta però questa breve parabola storica dell’idea di guerra nella civiltà occidentale, torniamo alla concezione filosofica dalla quale siamo partiti (e da cui prende il titolo questo articolo), ovvero Immanuel Kant e il suo saggio antimilitarista “Per la pace perpetua”.

In questo trattato, il filosofo di Königsberg sostiene la necessità di una federazione di stati e di accordi internazionali volti a evitare la guerra, la necessità di considerare lo straniero come un ospite, poiché secondo Kant è “razionalmente spiacevole per l’uomo” e gli uomini diventano dei mezzi e non dei fini. Secondo Kant, come l’uomo ha messo da parte il diritto alla vendetta per poter vivere in pace in uno stato che detta leggi di convivenza, allo stesso modo gli stati devono abbandonare il proprio diritto alla vendetta (e quindi alla guerra) per dar vita ad una federazione di stati; tutte cose che ci sembra di aver sentito più volte (mancano solo i famosi “settant’anni di pace” e poi avremmo fatto filotto, ma ovviamente Kant non poteva immaginare il bizzarro mondo in cui viviamo noi). E non è un caso che Kant sia considerato in tal senso un anticipatore dell’internazionalismo di stampo liberale ed uno dei primi teorici del “diritto internazionale”.

La guerra è razionalmente spiacevole per l’uomo”, questo sosteneva Kant. E per capire come questa “guerrofobia” sia contraria tanto a ciò che ha fondato la nostra civiltà quanto al cambiamento e all’evoluzione della specie umana, torniamo ad Eraclito e al “Pòlemos padre di tutte le cose”;

Nell’Ottocento un grande filosofo tedesco riprenderà questa teoria di Eraclito, per sua stessa ammissione (“Non c’è proposizione di Eraclito che io non abbia accolto nella mia Logica”). Quest’uomo era Georg Wilhelm Friedrich Hegel.

Hegel attinge a piene mani dalla teoria di Eraclito per formulare la sua teoria e quindi la risposta alla tesi di Immanuel Kant sulla “pace perpetua”.

Per Hegel è il motore della storia, ciò che ne impedisce la staticità; ‘la guerra è la sola igiene del mondo’, come dirà Filippo Tommaso Marinetti.

Come una sorta di tribunale, stabilisce chi è razionale, chi ha dalla sua parte le ragioni della storia, stabilisce chi è meritorio di guidare gli stati e i continenti e, perché no, il mondo. Stabilisce quali siano i popoli più adatti a guidare lo sviluppo e il progresso della razionalità e delle comunità. Non fa altro che mettere in evidenza ciò che è “già scritto”, perché permette a chi è realmente più forte di dominare chi è più debole.

E in che modo tutto ciò è “già scritto”?

È già scritto nello Spirito; per Hegel tutte le cose che sono avvenute, anche le più orribili e nefaste, sono perfettamente giustificabili e razionali, perché senza di esse lo Spirito non si sarebbe potuto evolvere per arrivare sin dove è arrivato. All’interno di quel sommo tribunale che è la storia, si trova un altro tribunale che è allo stesso tempo il motore della storia stessa, appunto proprio la guerra. Facciamo un esempio concreto; nel corso delle Guerre Persiane, se i greci hanno vinto, anche se in inferiorità numerica, è perché lo Spirito si è manifestato e oggettivato razionalmente con maggiore forza, nei greci rispetto ai persiani. Allo stesso modo, se l’Esercito Italiano ha vinto contro gli Imperi Centrali nella Grande Guerra, è perché tutto quel sangue versato è stato funzionale alla realizzazione razionale della storia, ovvero l’Italia unita dall’Alto Adige fino alla Sicilia. In questo senso la storia, attraverso la guerra, stabilisce “chi ha ragione e chi no”.

Naturalmente qui, una certa parte politica (di matrice antifascista) potrebbe obiettare: “se il Fascismo è stato sconfitto, vuol dire che era razionalmente dalla parte sbagliata della storia”. E invece no. Basterebbe rispondere che già il fatto che sia esistito e abbia guidato questa nazione lo giustifica razionalmente davanti al tribunale della storia, ma c’è di più; se fosse stato davvero sconfitto (non tanto dal punto di vista strettamente militare), detto brutalmente, a quest’ora noi non saremmo qui. Qualcosa di sconfitto dalla storia è qualcosa di cui non è rimasta più traccia; ma tracce, in Italia come in Europa, ne sono rimaste moltissime: sia dal punto di vista di presenza umana e concreta, sia dal punto di vista materiale (basti pensare a quelle legislazioni che hanno preso spunto dalla legislazione del Fascismo, ad esempio i lasciti del Codice Rocco nell’attuale Codice penale italiano) e architettonico.

La guerra dunque non va messa al bando, poiché essa è il tribunale della storia e poiché essa svecchia la storia. Per dimostrarne la necessità, Hegel ricorre ad un paragone con il mare:

“[Grazie alla guerra] la salute etica dei popoli viene mantenuta nella sua indifferenza verso il rinsaldarsi delle determinatezze finite, come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, come i popoli da una pace durevole o addirittura perpetua”.

G. W. F. Hegel – Lineamenti di filosofia del diritto

Ecco, la guerra è ciò che impedisce alla storia e all’umanità di diventare un acquitrino stagnante e di rimanere un mare in tempesta, in cui l’acqua è sempre limpida e pulita.  Visti i tempi in cui viviamo, oggi più che mai è necessario riscoprire la bellezza dello scontro e del combattimento. Oggi più che mai è necessario “amare la trincea e disprezzare il salotto”, come diceva Corneliu Z. Codreanu e oggi più che mai è necessario liberarsi dal brutto vizio di ricercare la pace e la tranquillità a tutti i costi, per impedire che anche la nostra stessa esistenza diventi uno stagno putrido e melmoso.