Di Tommaso
Inferno, Canto 3. No, non è la Divina Commedia, ma qualcosa di ancor più trascendentale e romantico per i veri appassionati. È la corsa delle corse, il giorno dei giorni: è la Parigi-Roubaix.
Dopo più di due anni dall’ultima volta in cui si è disputata e spostata alla prima domenica di ottobre rispetto alla consueta prima di aprile, per consentire al pubblico di esserci e infine, per la prima volta da tanti anni con il maltempo.
La Parigi-Roubaix ha una caratteristica a renderla unica, molti chilometri sono in pavé. Il bel pavé dei centri storici delle nostre città? No, assolutamente no, sassi irregolari, grossi e appuntiti, incastonati in mezzo ai campi a formare delle stradine arrivati da chissà dove.
Ognuno di questi settori di pavé ha un nome proprio ed è classificato in base alla lunghezza e allo stato delle pietre. 5 stelle per i più difficili, solo sentirne i nomi trasmette un brivido alla schiena di ogni appassionato, un misto di timore, curiosità e rispetto: Mons-en-Pévèle, la foresta di Arenberg e Carrefour de l’Arbre.
3 ottobre: la corsa inizia sotto il diluvio, grazie alle previsioni però si sapeva già da una settimana che si sarebbe assistito a un evento speciale.
I corridori dopo pochi chilometri sono già completamente zuppi d’acqua, fa freddo e indossano le mantelline. Arrivano i primi settori in pavé, già difficili in condizioni normali, ma questa volta è peggio, i settori si sono trasformati perché oltre agli insidiosi sassi ora c’è anche il fango.
Passano chilometri e pietre, i corridori cadono uno dopo l’altro e le ruote sollevano fango. I volti dei ciclisti diventano delle maschere di terra, maschere che dovranno tenere per sei lunghe ore, mentre le braccia vacillano ogni volta che pedalano su quelle pietre.
Nel piccolo gruppo che guida la corsa c’è Gianni Moscon, il Trattore della Val di Non, poco dietro un gruppo più folto con i favoritissimi della corsa, Wout Van Aert e Mathieu Van Der Poel stanno recuperando velocemente. A 52 chilometri dal traguardo Moscon saluta i suoi “compagni di corsa” e se ne va da solo, non è un caso infatti se il suo soprannome è legato al trattore. Moscon da solo inizia a guadagnare secondi, il gap fra lui e il gruppo dei favoriti aumenta, arrivando a un minuto e venti.
Da dietro sembrano mollare, ma Van Der Poel si mette in proprio e prova un’accelerata solitaria, nessuno sembra restargli dietro, fino a quando si aggrega anche Sonny Colbrelli, il bresciano che nel 2021 ha trovato un anno d’oro, costellato di successi.
A 35km dal traguardo Moscon fora, ma in pochi secondi riesce a cambiare bici e ripartire, il vantaggio è stabile, ancora rassicurante. L’impresa ormai sembra già compiuta, ma ogni vero amante del ciclismo sa che la Roubaix è spietata, non segue alcuna logica e non sempre premia i più audaci.
Dopo ancora qualche chilometro infatti dalla telecamera riprende l’immagine che nessuno avrebbe voluto vedere, Moscon è per terra in mezzo al fango, vittima di una caduta fra le pietre rese troppo scivolose dalla pioggia. Viene ripreso così dal gruppo di Van Der Poel e Colbrelli, ormai stremato.
A questo punto la corsa è affare di questo piccolo gruppo, che riesce a superare tutti i settori di pavé in testa alla competizione involandosi verso l’arrivo.
Il favorito è Van Der Poel ma in una volata a fotofinish a trionfare con le braccia al cielo è l’italiano Sonny Colbrelli, coronando così un’altra vittoria in questo anno magico per i nostri colori.
Si chiude così la corsa più bella e importante del calendario ciclistico, in una giornata mitica da ricordare per tutti gli anni a venire, una corsa spietata che si è trasformata in lotta per la sopravvivenza.
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