Di Enrico

Quante volte (soprattutto di questi tempi) ci poniamo domande come: “la legge è sempre sacra?” oppure “qual è il confine tra legalità e giustizia morale?”. 

Ad esempio, dopo la scarcerazione di Giovanni Brusca (il sicario di Cosa Nostra scarcerato dopo 25 anni di detenzione per effetto della legge sui collaboratori di giustizia), abbiamo assistito alla formazione di vere e proprie tifoserie da stadio (come del resto succede per ogni tema che infiamma il dibattito pubblico, basti pensare alla questione dei vaccini), le quali si sono divise in “draconiani” e “veneratori della legge”, ovvero chi sosteneva che Brusca dovesse marcire in prigione per il resto dei suoi giorni e chi invece diceva “la legge vuole così, punto e stop”.

Ebbene, nell’epoca in cui anche la filosofia del diritto diviene oggetto di tifo da stadio, ci viene in soccorso il buon vecchio Hegel. Partendo dal trinomio fondamentale della dialettica hegeliana di “tesi-antitesi-sintesi” si possono trarre immensi spunti di riflessione su cosa sia giusto dal punto di vista della legge, cosa sia giusto dal punto di vista della morale e quale potrebbe essere una possibile soluzione a questo dilemma che l’uomo si porta dietro sin dal momento in cui ha deciso di scrivere una legge.

È innanzitutto fondamentale capire queste due cose:

  1. Quali sono le differenze tra diritto e morale
  2. Come si collocano nel trinomio della dialettica hegeliana

È importantissimo, infatti, tenere a mente che il diritto è qualcosa di astratto, non è pensato per persone o fatti realmente esistenti. È una sorta di regola universale ed astratta (si potrebbero poi scrivere centinaia di pagine sulla diatriba tra i sostenitori del diritto naturale e i sostenitori del diritto positivo). La morale invece, non è universale o astratta; è particolare e concreta, si adatta cioè ad un fatto specifico, concreto. Può variare a seconda di tanti fattori (ed è frutto della combinazione tra essi) come l’età, la provenienza geografica, la fede religiosa, l’etnia e così via.

Quindi, essendo la morale (concreta e particolare) l’opposto del diritto (astratto ed universale), questi due concetti si collocano alla perfezione nel trinomio della dialettica hegeliana. Il diritto è la tesi, la morale è l’antitesi. In questa rissa tra diritto e morale però, come possiamo uscirne tutti interi? Giungendo alla terza parte della dialettica hegeliana: la sintesi. E cos’è la sintesi tra diritto (tesi) e morale (antitesi)? L’etica. Essa è sintesi tra i caratteri propri del diritto e quelli propri della morale, in quanto si caratterizza per l’unione di universalità e concretezza. Facciamo un esempio pratico dello scontro tra diritto e morale (e della sua possibile soluzione, ovvero l’etica): andare in moto senza casco è illegale, dunque non è conforme al diritto, giusto? Ma è anche moralmente sbagliato? No, difficilmente chi è tornato a casa in moto senza casco, una volta sceso dal veicolo dirà “che persona spregevole sono”; non ha, in sostanza, fatto qualcosa di dannoso per gli altri. Ed è proprio qui che viene fuori l’etica: etica vuol dire prendersi cura degli altri (della propria famiglia, della propria comunità, della propria nazione). E il primo dei modi per prendersi cura degli altri è non fare nulla che possa andare a loro discapito.

Questa può apparire però come una gigantesca supercazzola filosofico-giuridica e la domanda sorge dunque spontanea: come si può trasporre questo concetto in un corretto funzionamento della giustizia? Ebbene non si può. L’unico modo per avere una legge che non sia espressione solo del diritto o solo della morale, ma che sia espressione dell’etica, sintesi di diritto e morale, è avere uno stato fondato su questa sintesi: quello che Hegel chiamava “Stato Etico”.

Lo Stato Etico però non garantisce il corretto funzionamento della giustizia, non è questa la sua funzione. Esso previene il crimine, non lo punisce; punta a costruire una società in cui agli individui non passi neppure per la mente di commettere un crimine. Ovviamente questo tipo di stato non è uno stato democratico, non è uno stato liberale: non “vince” la maggioranza, non vale l’opinione di tutti, vince l’idea di appartenenza (e ritorniamo qui all’essenza dell’etica, ovvero prendersi cura degli altri). Facciamo qualche esempio: in uno Stato Etico, il cittadino non vede più le tasse come qualcosa di imposto (e quindi come qualcosa di scocciante), ma le paga sapendo che è un atto eticamente giusto poiché lo stato con quei soldi ci può costruire un ospedale, un’infrastruttura e così via; si sta quindi prendendo cura degli altri, in questo caso della sua comunità nazionale in quanto manifestazione parziale di essa.

Allo stesso modo, quel cittadino nato e cresciuto nello Stato Etico non commetterà un reato di qualsiasi tipo, non perché teme la punizione (che sia il carcere o una multa) ma perché sa che non è eticamente giusto farlo. E questo perché ha messo da parte il proprio interesse individuale in quanto non si sente più un’unità individuale dispersa, ma parte di un qualcosa di più grande; si sente manifestazione parziale di un intero (che sia la famiglia, la Nazione, il popolo).  E, facciamo questa piccola parentesi, è proprio per questo che sono necessari dei simboli come la bandiera o l’inno nazionale: in uno Stato Etico, i cittadini hanno bisogno di simboli che li unifichino e li facciano sentire parte di qualcosa di più grande. E non è un caso, infatti, che questa società liberale punti sempre di più alla distruzione di questi simboli (perché ne teme la potenza unificatrice) e tenti di sostituirli con falsi simboli che dividono anziché unire.

Ecco questa forse è una delle maggiori piaghe della nostra società: il totale predominio delle varie forme di morale (che, ricordiamolo, è qualcosa di individuale e varia da un individuo all’altro) a scapito dell’etica di cui abbiamo parlato sino ad ora; in poche parole, l’individualismo occidentale di stampo liberale.

Ecco perché oggi più che mai è necessario ripartire dai grandi maestri del pensiero antiliberale; per sopravvivere in una società molle e individualista e per costruire una società diversa, fondata sull’etica. Perché oggi essa è l’unico faro per non perdersi nei tortuosi ed oscuri labirinti del liberalismo contemporaneo.