Di Lemmy
È una lunga scia di puntini luminosi a far capolino nella notte di sabato 8 maggio nei cieli del Garda e del Trentino. Una scia che ad una prima occhiata sembrerebbe un insieme di luci riflesse, ma qualcosa non torna. C’è troppo ordine in quelle luci, troppo poco caos nei loro movimenti. Sembrano quasi manovrati. Di che si tratta quindi?
Il mistero è presto risolto: si tratta dei satelliti Starlink, opera della mente visionaria di Elon Musk. «Si tratta di satelliti artificiali per le telecomunicazioni, di per sé nulla di sconosciuto», ha commentato alla stampa trentina l’esperto del Muse, il Museo delle Scienze di Trento, Christian Lavarian, «in particolare i satelliti Starlink di SpaceX, l’azienda di Elon Musk, possono essere osservati già da un paio di anni».
La particolarità di questi satelliti sta nel fatto che vengono lanciati con un unico razzo, tutti insieme, a grappolo. «Quelli di Musk sono satelliti molto piccoli e possono essere lanciati anche 50 o 60 alla volta, poi entrano in orbita attorno alla Terra e per un po’ di tempo rimangono molto vicini fra loro. Per questo, quando li osserviamo in cielo, si vedono una serie di puntini luminosi l’uno attaccato all’altro», hanno proseguito dal Muse.
Musk sta quindi mandando in cielo centinaia di satelliti che saranno utilizzati per creare una nuova rete internet globale, atta a coprire aree che non hanno accesso alla rete ad alta velocità. Lo stesso sistema dovrebbe servire per porre le basi anche per creare una nuova rete di posizionamento (come il già funzionante Gps). Gli Starlink attualmente in orbita sono oltre 1.500 e il progetto ne prevede complessivamente 12’000. Sono piccoli e del peso di circa 250 kg e orbiteranno ad una altezza di circa 550 km, possono essere facilmente avvistati quando sono illuminati dal sole mentre la notte è già calata sulla superficie terrestre. La loro altezza orbitale è molto piccola, si pensi che un satellite meteorologico orbita a 36mila km di distanza dalla Terra ed è per questo che possono essere facilmente avvistati, anche ad occhio nudo.
Ma tutto questo, come si ripercuoterà sulle nostre vite?
Come ci abitueremo a queste nuove piccole “stelle” che galleggeranno sopra le nostre teste nei prossimi anni? Stelle che spesso non si limiteranno ad osservarci ed essere osservate, ma entreranno in contatto con noi, reagendo ai nostri stimoli. Per ogni richiesta di dati inviata da un computer, da un cellulare o da un qualsiasi dispositivo, ogni satellite si smuoverà dando inizio ad una lenta danza, in sincrono con gli altri 12mila. Un movimento costante, un’orbita di corpuscoli sopra le nostre teste che nemmeno nei sogni più audaci di un Copernico o di un Galileo avrebbero potuto essere concepibili.
Non sempre, però, è tutto oro quel che luccica.
Bisogna infatti, tener conto del fatto che questi 12’000 satelliti in più rifletteranno anche molta più luce del Sole sulla Terra rispetto ad ora, con tutte le problematiche che ciò comporta. Il ciclo giorno notte, radicato da milioni di anni sul nostro pianeta, che ha decretato da sempre una separazione di due finestre temporali alternate, una tendenzialmente più attiva e l’altra passiva, a seconda degli animali – o più in generale degli esseri – che popolano il nostro mondo, potrebbe uscirne radicalmente stravolto.
Una situazione in cui il buio non è più così buio, quanto meno non più solo in vicinanza dei grandi centri abitati, potrebbe portare ad una modifica definitiva e per alcuni potenzialmente letale nelle abitudini di tutte le varie forme di vita, siano esse di uomini, animali o vegetali. Proviamo banalmente ad immaginare per esempio un animale come il pipistrello: a causa di un’insolita luminosità notturna, potremmo ipotizzare una situazione in cui questi non sarebbero più in grado di uscire a caccia di notte, rimanendo rinchiusi nelle tane in attesa di un buio che non arriverà mai. Da qui poi a ognuno la libertà di immaginare i più vari e disparati altri scenari che potrebbe comportare “l’eliminazione della notte”
Ma non si parla solo di Starlink a casa del patron di Tesla. Musk ha infatti recentemente dichiarato la suo obiettivo nei prossimi 5 anni sarà portare l’uomo su Marte. Obiettivo che trova molto scettica niente meno che NASA, intenta a placare gli animi sostenendo l’impossibilità di calpestare il suolo marziano prima del 2033.
«Per la prima volta in oltre quattro miliardi e mezzo di anni è possibile espandere la vita al di là della Terra» rimarca Musk nella sua dichiarazione di intenti e prosegue «Nella storia ci sono state molte estinzioni di massa. Come uomini, abbiamo l’obbligo di assicurare alle creature del Pianeta Terra di continuare a vivere anche qualora ci fosse una calamità, naturale o provocata dallo stesso uomo». Visionario, come da tanti osannato, oppure pazzo megalomane accecato da manie di protagonismo?
Per alcuni versi ricorda un po’ il criptico 2001: Odissea nello spazio, è come se avessimo appena toccato il monolite che ci ha folgorati, che ci ha mostrato una via per il progresso. La via è lassù, dove i più audaci hanno sempre voluto spingersi, sempre più in alto di chiunque altro. La via è lassù, dove si annidano paure e speranze, dove il terrore dell’ignoto diventa tutt’uno con l’amore per l’avventura.
Ma questa via per il progresso, parte inevitabilmente da qui, sulla Terra. Parte da un pianeta che molto prima di abbandonare è doveroso cercare di salvare con ogni mezzo. Parte ad esempio da politiche ambientali applicabili e studiate per non stravolgere irrimediabilmente tutto il comparto produttivo, non dagli sbraiti di una ragazzina che in due anni ha semplicemente inventato un hashtag e smosso quattro pischelli terrorizzandoli al grido di «non c’è un pianeta B!» o semplicemente esaltandoli all’idea di avere addirittura una “causa” per poter saltare scuola.
Prima ancora però la via parte da noi, perché per puntare alle stelle bisogna avere ben saldi i piedi a terra. Una terra da rispettare, di cui prendersi cura. Una Madre Terra, da cui essere sempre capaci di ritornare per ritrovare le nostre origini.
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