DESOCIALIZZAZIONE

Di Sergio

Desocializzazione. No, stavolta l’accademia della Crusca non centra niente: non è un petaloso prodotto della grammatica asservita al pensiero debole. È un vero e proprio neologismo che si può trovare facilmente sul sito Treccani alla voce neologismi 2020. Che vuol dire? Andando a stringere, “la perdita della capacità da parte dell’individuo di modellare il proprio comportamento e le proprie caratteristiche conformandoli alle norme, alle relazioni e ai valori sociali condivisi”. Da qui, sembrerebbe già di per sé nulla d’importante, una semplice vocazione bastian-contraria dell’individuo verso la società, il che potrebbe anche farci ammiccare al nuovo lemma.

In realtà c’è molto di più e sotto un apparente mare calmo si annida il leviatano. Infatti, le cause di questo fenomeno, sempre secondo Treccani, sono l’anonimato, l’atomismo, la solitudine e l’allentamento dei legami sociali che portano gli individui verso la devianza e comportamenti anti-sociali, se non addirittura al suicidio.

Si, avete sentito bene. Il suicidio. Non troppo distanti da oggi sono i numeri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui suicidi, soprattutto tra i più giovani. Secondo l’OMS, infatti, il suicidio è al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età compresa tra i 15 e 29 anni in tutto il Mondo. L’Italia non sfugge a questo macabro record: anche nel bel paese il suicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 24 anni. L’età scolare, superiore-universitaria, è quindi la fascia più colpita dalla morte autoinflitta.

Un dato che fa rabbrividire ma evidentemente non sorprende, non fa scalpore, non solleva polveroni mediatici ed istituzionali. Colpa della desocializzazione? Forse. Ma attenzione, non sarebbe giusto ricondurre tutto al colpo di frusta del lockdown e della pandemia, non sarebbe corretto. Ci troviamo di fronte alla sanzione clamorosa di decenni di distanziamento, individualismo, meccanizzazione e digitalizzazione del mondo e dei rapporti umani.

Una denuncia che se parte dalla fine degli anni ’90 con film come Fight Club/Matrix, ha radici molto più profonde nelle rivoluzioni del diciannovesimo e ventesimo secolo. Lo stesso Karl Marx annuncia l’avvento della desocializzazione, quando poteva liberamente affermare che “un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria” e che “le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura”.

Ridurre la vita ad una forza materiale, ecco il punto da combattere, che se Marx aveva solo annusato nell’aria, uomini come Nietzsche, Gentile e successivamente Mussolini trasformeranno nella nostra rivoluzione. Una tendenza quindi, tanti tasselli messi in fila in due secoli di storia, che si sta acutizzando ora, nel biennio 2020/2021, quando la vita comoda della società borghese, in overdose di anticorpi dovuti a pace ed abiura alla potenza, sta divorando sé stessa Non già con uno schianto ma con un lamento.

Ed è strano, ma come sappiamo il caso non esiste mai, che proprio ora salti fuori la desocializzazione, quasi un riflesso spastico del organismo in fase terminale. Nemmeno due mesi fa abbiamo affermato il nostro progetto volontaristico di Socializzazione Scolastica in tutta Italia, portando con noi la rivoluzione dell’uomo contro le forze materiali e il vecchio sogno della Socializzazione, offerta al mondo intero nell’ultimo spasmo di volontà e coraggio della Repubblica Sociale Italiana. Ma la nostra Socializzazione non è soltanto un approccio alla sfera industriale, si conforma oggi come vero e proprio agire nel mondo.

Dove il distanziamento sociale divide, isola, omologa, la nostra Socializzazione deve essere un modo nuovo di stare al mondo, mai visto prima. Un verbo affermativo, Socializzare, che deve vibrare e far tornare alla realtà le nostre vite. È strano, dicevo, che proprio ora mentre più di qualcuno ci taccia di vecchiaia per aver rispolverato un vecchio termine, i nostri nemici abbiamo trovato il loro polo negativo dando la più esaustiva spiegazione del nostro polo positivo.

Se infatti la Treccani si ferma alla necessaria desocializzazione per la sopravvivenza, noi affermiamo l’indispensabile socializzazione necessaria alla vita. I vocabolari vogliono farci morire di noia ancora prima della nostra fine biologica. E poi, infine (sempre per ora), socializzazione (sempre contro il suo contrario) riafferma la politicizzazione delle vite, identificandoci tutti come esseri sociali, solidali ed etici, che quindi non possono delegare responsabilità ad altri ma agire nel mondo.

In un tempo che evoca la morte della politica, in cui ci vogliono a casa mentre ci pensano i tecnici, la socializzazione si conforma come l’unica vera libertà, da conquistare con la partecipazione attiva, combattiva e volontaria. Il vaccino per la malattia del mondo.