Di Clara

Non sempre gli indizi giusti per risolvere i propri problemi risiedono nel qui ed ora, a volte bisogna guardarsi indietro per trarre ispirazione per poi ricominciare a correre in direzione dell’avvenire. Prendiamoci quindi un breve attimo per celebrare l’anniversario di quella che fu un’avanguardia cardine nell’Italia del 1900 (20 Febbraio -n.d.r.), il Futurismo.

Nato dall’omonimo “Manifesto del Futurismo” di Filippo Tommaso Marinetti, di cui però oggi non parleremo perché diciamocelo sinceramente, a forza di straparlarne ha un po’ rotto il cazzo.

Oggi infatti, poniamo l’accento su “L’arte dei rumori”, un altro importante manifesto, scritto da Luigi Russolo e destinato all’amico (e musicista) Francesco Balilla Pratella.

Viviamo in un mondo che ci isola, che vuole distanziamento sociale e silenzio assoluto alle ore 22. Un mondo che vuole la depressione, una delle malattie più diffuse dall’inizio del millennio e che continua ad espandersi come una macchia d’olio nell’oceano. Noi, ovviamente, non abbiamo intenzione di abbassare la testa davanti a un sistema che vuole che la nostra generazione sia una massa amorfa, lobotomizzata, e a questo scopo è essenziale prima di tutto fare di noi stessi un mezzo di propaganda del rumore appunto.

Al tempo invece, nel 1913, avendo appena scavalcato il XIX secolo, il “suono” preminente nella vita mondana era sempre stato il silenzio. Il massimo di suono concepibile poteva essere la sovrapposizione di note distanziate da intervalli, generando un accordo e quindi un suono complesso, ma mai rumoroso. Ovviamente si escludono momenti storici straordinari come guerre e altri limitati cambiamenti visibili ma, soprattutto, udibili.

Come dicevamo però con lo svilupparsi delle macchine, dell’urbanizzazione e dei conseguenti rumori cittadini, si è andata via via sviluppando nell’uomo moderno una maggiore sensibilità al “rumore musicale”.

Non fu un caso che lo stesso Russolo, a pochi anni dalla nascita del Futurismo, inventò degli strumenti chiamati “intonarumori”, raggruppati a loro volta nelle famiglie che, a quel tempo, sembravano avere dei nomi strampalati (ululatori, scoppiatori, crepitatori, ecc…). Dovranno però passare alcuni decenni prima che questo fenomeno del rumore venga integrato a pieno nella musica che comunemente chiamiamo elettronica, o elettroacustica se viene integrata da strumenti più “tradizionali”. 

Detto questo quindi, cosa possiamo ricavare dagli insegnamenti del futurismo e in particolare da L’arte dei rumori?

L’estro, la voglia di ribellione presente in quel periodo di transizione che ha permesso agli spiriti più effervescenti di arrivare a pensare che la musica, quindi il suono e il rumore, sono presenti non solo negli strumenti più classici, ma anche nella realtà che ci circonda e se la realtà che ci circonda è moderna e rumorosa allora anche la musica dev’essere avanguardia.

Possiamo arrivare quindi alla conclusione che questo senso di solitudine e silenzio che attanaglia l’uomo contemporaneo, è una condizione psicologica imposta, non la realtà che ci circonda veramente.

La natura, da tempo immemore ormai, ha scelto da che parte stare, basti pensare: “al rombo del tuono, ai sibili del vento, allo scrosciare di una cascata, al gorgogliare d’un ruscello, ai fruscii delle foglie, al trotto d’un cavallo” (vedi L’arte dei rumori).

Probabilmente la confusione generata dal periodo di transizione di inizio ‘900 è per alcuni versi molto simile a quella che viviamo noi oggi, la direzione da prendere quindi è quella di una nuova sfida alle stelle, così da poter finalmente “buttare via” la vecchia generazione di futuristi che risulta essere avanguardia da ben novant’anni oltre i dieci a cui auspicava Marinetti.

Sta a noi scegliere se restare in silenzio e morire in solitudine oppure restare in movimento e generare rumore!