Di Moro
In questi anni ne abbiamo viste di tutti i colori: dal Movimento 5 Stelle che passa dal governare con la Lega al “partito di Bibbiano”, a un Salvini che prima si dice sovranista poi offre collaborazione a Draghi, fino a giungere alla mancata promessa di Renzi di ritirarsi dalla politica. È inutile tirare fuori i fior fiori di scandali politici dal dimenticatoio della storia recente, è utile invece analizzare cosa c’è che non va nel sistema democratico e cosa si può fare per cambiare un sistema che ormai si rileva essere una perenne e continua truffa.
UNA CONTROSTORIA
I più fanno risalire l’idea di democrazia all’Antica Grecia, senza prendere in considerazione il fatto che si rilevava quasi sempre essere in realtà una forma di oligarchia dove solo i maschi originari della città potevano votare. Così succedeva ad esempio ad Atene. Quest’ultima era poi percepita – a quanto riporta Plutarco ne “le Virtù di Sparta” – come una società corrotta e votata a poco pratici idealismi e vizi. Questo differentemente rispetto, ad esempio, al sistema di Licurgo, in quella Spartache invece affidava il controllo della città non a una massa ma ad un’aristocrazia.
Anche forme repubblicane come Firenze o Roma si guardavano bene dall’affidare questioni di stato al volgo, concentrando i poteri nelle mani di una classe più preparata. La democrazia odierna nasce infatti solo nella Francia del diciottesimo secolo e diventerà una prassi a tappe forzate nei secoli diciannovesimo e ventesimo. La separazione dei poteri, l’elezione dei rappresentanti del popolo, la democrazia diretta: tutte concezioni che nascono personalità come Montesquieu, Rousseau, Voltaire e che culmineranno nella Rivoluzione Francese.
Di base segna un forte cambiamento nell’ordinamento politico europeo, anche in positivo, in quanto ci porta lontano dalla teocrazia assolutistica e svecchia le ormai corrotte monarchie ereditarie. Giuseppe Parini, nel suo celebre “il giorno” ci mostra infatti come l’aristocrazia che abbandona il suo ruolo politico e militare per darsi alla bella vita sostanzialmente decada creando situazioni di profondo imbarazzo. La Rivoluzione Francese prende quindi a calci una nobiltà passatista e viziata, con l’intento di sostituirvi un sistema ritenuto più giusto.
Non mancano però le criticità, a quanto emerge soprattutto dal pensiero di Ugo Foscolo. Il poeta italiano – nel suo articolo “Istruzioni Politico-Morali” – riprende il pensiero di Hobbes, Plutarco e Machiavelli dicendoci che una massa non potrà mai abilmente governare la Nazione, serve infatti una classe che il popolo lo controlli, questo sotto uno stato che possa però guidarlo giustamente verso il futuro. Serve poi che si disponga di molto denaro, ma che si bilanci la sua presenza nella popolazione, la quale altrimenti lo sostituirebbe alla tradizione, corrompendosi.
Come Foscolo, anche Ippolito Nievo è dell’avviso che il volgo non possa governare una Nazione, dello stesso parere era anche Mussolini. Entrambi vedevano infatti in una componente intermedia tra il “popolino” e l’élite corrotta, il reale mezzo per portare una rivoluzione, la quale avrebbe realizzato un sistema che avrebbe educato il popolo, dandogli i mezzi per governarsi e donarsi la grandezza, con un’aristocrazia che fosse innanzitutto una sua diretta espressione.
Una teoria che si è rilevata prassi soprattutto a partire dalla Rivoluzione Fascista culminata con la Marcia su Roma del ’22. Quella che è sorta fu una classe di individui che ha saputo innanzitutto interpretare i bisogni e gli interessi di un popolo, che ha saputo modernizzare e indirizzare una cultura erede di Roma e che ha redento una Nazione da secoli di precarietà e sfruttamento. Questo in una concezione rivoluzionaria ma realista, che vedeva nel Duce la sua personificazione.
Questo progetto si arrestò nel 1945, da allora la democrazia ha visto la sua reale primavera. Ha incontrato però pure la sua estate, il suo autunno e ora siamo nel suo inverno. Tutto questo in neanche 80 anni. A causa della sua corruttibilità, la democrazia è infatti estremamente suscettibile alla demagogia. Il risultato è sistema dove quindi il reale interesse e il benessere del popolo non contano, ma acquisisce importanza l’ambizione del privato, il quale sfrutterà una classe politica che farà irrimediabilmente leva sulla pancia del volgo per restare al potere.
Da qui si passa alla condizione attuale, dove il popolo va a votare ma si ritrova puntualmente governi che non ha scelto. Un sistema-truffa, dove i professionisti della politica trovano sempre il modo per eludere la decisione democratica, e dove il popolo è oramai talmente preso in questo teatrino che nonostante la rabbia e i soprusi non ha più la forza e la volontà di insorgere. Siamo infatti nel pieno dell’era della post-democrazia, nell’epoca della decadenza dei parlamenti. È meglio così? Dipende.
L’ATTUALITÀ
Ad oggi, alcune Nazioni vedono il sistema democratico reggere e consolidarsi in uno stato che fa leva su istruzione, ricerca e sostenibilità, è il caso di quei paesi portati a modello dalla sinistra, i quali, tuttavia, non godono di molta influenza. Il secondo caso è quella degli esecutivi che riescono ad agire in autonomia dai parlamenti, confermando di volta in volta il loro potere, è il caso della Russia. Il terzo, è quello dove lo stato viene completamente esautorato dal potere economico e/o da quello giudiziario, è lo sfortunato caso della nostra Nazione.
Da qui si arriva al punto focale della questione: “Il problema è della democrazia o è la democrazia il problema? È questo il migliore dei mondi possibili? Questa ipocrisia serpeggiante e nemmeno troppo celata per cui evitare le elezioni è sempre la via maestra delle istituzioni democratiche non è paradossale?” – Questo un tweet pubblicato dal Blocco Studentesco all’indomani dell’inizio del Governo Draghi, un autentico colpo di mano che ci mostra esattamente come nel nostro paese non si decida quasi nulla a livello popolare.
Draghi è colui che come capo della BCE ha messo in ginocchio le Nazioni del Mediterraneo – Grecia in primis – con politiche di austerità che hanno reso ancor più grave la crisi del 2008. Eppure qualcuno sembra parlarne? La classe politica si è letteralmente prostrata ai piedi del Messia, “colui il quale” ha magicamente risolto i conflitti tra Lega, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Partito Democratico.
La verità è che in un sistema partitico l’interesse Nazionale viene sostituito dal bene di una data fazione e, soprattutto, dagli interessi della politica sommersa: media, grandi imprenditori, mafiosi, magistrati, banchieri, cooperative, sono loro infatti che rivendicano un particolare interesse verso politici che spesso non hanno i mezzi culturali per fare politica da soli. È il caso di Giggino di Maio, che non potrebbe contrastare interessi più elevati nemmeno volendo, figuriamoci imporre una visione politica ad un popolo.
Per non risparmiare nessuno abbiamo esempi come Salvini che si fa le foto con la mortadella, Boldrini con la venerazione dei clandestini o Toninelli che propone un bonus monopattini elettrici come salvezza di una nazione: gente così attira tutta l’attenzione e la rabbia del popolo che si ridurrà a una mera tifoseria da stadio, con pseudo-militanti politici che penderanno dalle labbra dei loro esponenti di riferimento. Questo mentre la sovranità politica della loro Nazione viene svenuta pezzo per pezzo, rendendo di fatto lo stato ancora più impotente verso interessi di natura certo non democratica. Dividi e comanda si direbbe, o addirittura instupidisci e comanda.
Certo non è il frutto di un complotto giudeo-satanico-massonico, come direbbero alcuni, ma è fattuale che uno stato del genere faccia comodo a molta gente. Di certo va tutto a favore alle istituzioni dell’Unione Europea e, non di meno, all’asse franco-tedesca. Un’Italia debole consente a Parigi e Berlino di spartirsi le aziende italiane, di garantire la stabilità del loro predominio in Europa e di prendersi spazi geopolitici prima appartenenti a Roma. Questo a costo della stabilità nel mediterraneo, prima garantita dall’asse italo-libica.
Si pensi ad esempio alla condotta della Bce, uno strumento innanzitutto di repressione rispetto all’economia e alla politica dell’Italia. Dimostrazione il golpe finanziario del 2011, ovvero quando – ci spiega Filippo Burla – “la Bce ad un certo punto non ha più garantito per il debito pubblico italiano, i cui tassi d’interesse – complice anche un’ondata di vendite partita da Goldman Sachs e Deutsche Bank – sono schizzati quasi a livelli da fallimento. Da qui le fortissime pressioni per il cambio di governo. Non sarebbe avvenuto se la Bce avesse fatto il proprio mestiere di banca centrale, che dovrebbe essere innanzitutto quello di garante di ultima istanza delle finanze statali.” Il suddetto golpe ha poi portato al governo Monti.
Un sistema pseudo-democratico quindi, dove governi tecnici e i giochi di palazzo rendono la volontà popolare un’illusione da sfoggiare qualora il proprio partito avesse una buona percentuale. La falsità della democrazia rappresentativa, poi, si evince dal continuo bombardamento di promesse e proposte irrealizzabili che vengono puntualmente disattese. Alla fine si sa: in democrazia è la fiducia dell’opinione pubblica che – in teoria – dovrebbe contare, non la reale implementazione dei programmi politici.
Ma quindi, è la democrazia ad essere ammalata, o è essa stessa la malattia? Friedrich Nietzsche, nella sua immensa avversione ai sistemi egalitari, sosterrebbe la seconda ipotesi. Per decretare, però, se il filosofo abbia ragione o meno, si tenga in considerazione questa incognita: può l’opinione di gente con meriti e competenze diverse contare allo stesso modo? Nietzsche da parte sua sosteneva la necessità di uno stato gerarchico dove all’apice ci fosse l’oltre-uomo, il quale avrebbe ucciso e rifondato lo stesso concetto di umanità.
UNA DIVERSA IDEA DI DEMOCRAZIA
Ad oggi i paesi più potenti ed influenti del mondo vengono spesso governati per molti anni di fila da un singolo presidente che imprime una linea politica a tutta la Nazione. Ci si riferisce alla Russia di Vladimir Putin, alla Cina di Xi Jinping, alla Germania di Angela Merkel e all’America, dove in genere un presidente comanda per 8 anni. Un sistema che fa emergere un presidente offre più coesione e governabilità, quindi, Questo differentemente rispetto al sistema parlamentare, invece litigioso, corrompibile e dove le linee politiche cambiano continuamente.
Avere una forte leadership funge infatti da antidoto a derive di incompetenza rappresentate da, ad esempio, politici con la terza media che grazie a giochi di palazzo si ritrovano a governare interi ministeri – fenomeno tristemente noto a noi italiani. Un sistema simile, però, si può imporre unicamente qualora la governabilità fosse garantita, in un governo dove il presidente si rivelasse essere una figura centrale che possa comunque contare su una classe politica efficiente che gli dia ascolto e possa vantare figure dall’ampio prestigio professionale.
Roma fu resa grande da un senato, ma furono gli imperatori a darle un nuovo orizzonte quando questa sembrava sulla soglia della decadenza, questo lo si fece risolvendo quei conflitti che da tempo rendevano il Foro un luogo di corruzione e incompetenza. Una figura unitaria e autorevole – e meritocraticamente scelta ovviamente – sarà quindi ciò che potrà risollevare la nostra Nazione. Si veda, ad esempio, la figura politica di quel Mussolini che abilmente pacificò un paese che nel primo dopoguerra sembrava essere caduto per sempre nel caos.
E per quanto riguarda i processi di legislazione? Come il sistema partitico, anche lo stesso concetto di partito è superato dalla storia. Individui che pensano solo al tornaconto della loro fazione non possono avere voce in capitolo sull’amministrazione di una Nazione. CasaPound, dal canto suo, propone l’istituzione di una camera del lavoro da sostituire al senato, idea che riprende idealmente il corporativismo. L’interesse di chi produce e investe dovrebbe infatti essere privilegiato e deve costituire la base del processo legislativo.
Ma come realizzare un nuovo sistema politico? Bisogna partire dal presupposto che non esiste una soluzione politica. Non si pensi però che sia possibile solo la via della rivoluzione armata, la soluzione può essere anche metapolitica. Un’azione coerente volta a cambiare la mentalità di questo popolo può fare qualcosa. Riprendersi la cultura, fondare giornali, studiare, diffondere un’idea.
Serve un’azione volta a portare sul territorio un’alternativa valida. Senza un radicale cambio di mentalità nulla è possibile e se non facciamo nulla niente cambierà.
Potremmo stare infatti qui trent’anni a parlare di come i lavoratori debbano eleggere i loro rappresentanti, di come però l’esecutivo debba esercitare una grossa influenza sui processi legislativi, il quale a sua volta influenza un potere giudiziario i cui poteri siano bilanciati. Tuttavia se nessuno si adopererà per apportare questi cambiamenti, ci ritroveremo ancora con un popolo che si lamenta inutilmente perché dei politici non lo fanno votare, e con una classe dirigente il cui solo obiettivo è restare al potere e costruirsi una villa nei quartieri alti di Roma.
Per concludere: “Se veramente vogliamo darci un futuro come mondo e vogliamo darlo a chi verrà dopo di noi su questa strada, dobbiamo rinverdire una fiera posizione non democratica, di stirpe, di costruzione di alternative strutturali, e di un percorso che ci deve necessariamente rifar piombare nella logica delle elezioni quali strumento di un percorso e non del fine del percorso stesso. Per essere liberi e per leggere in modo asettico le vicende democratiche, che a noi dovrebbero stare lontani anni luce” – lo afferma Francesco Polacchi, il cui pensiero dovrebbe farci riflettere.
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