Di Clara

Apparentemente, non tutto sembra perduto. Siamo ormai agli sgoccioli di questo nefasto anno, il quale ci ha “donato” una pandemia, una crisi in ambito economico e nell’istruzione a noi cara, la perdita di molti personaggi di spicco nel mondo calcistico e dello spettacolo, ma una scoperta dal passato può dare, per un attimo, una boccata di aria fresca.

Si ostinano a farci credere che ricordare il passato (o parte di esso) sia sbagliato e che bisogna sempre e solo guardare avanti, al progresso. Per pochi romantici invece, come noi e gli archeologi, il futuro è sicuramente importante, ma duemila anni fa, all’interno della nostra penisola, venivano costruite strutture migliori di quelle che possiamo immaginare nei tempi moderni.

Situato nella Regio V, vicino alla piazza più frequentata della colonia romana, è tornato alla luce un Thermopolium quasi in perfette condizioni, con tanto di pentole in coccio e resti di pietanze all’interno. Altamente diffusi nel mondo romano, se ne contano una ottantina a Pompei e qualcuno anche ad Ostia antica, ma la scoperta di questi giorni è da considerare eccezionale per l’interezza del ritrovamento. Il Termopolio, letteralmente dal greco “termos”, caldo e “poleo”, vendo, era un luogo di ristoro per la popolazione. In questi giorni la critica l’ha definito “street food”, ma dato che non stimiamo troppo gli anglicismi, possiamo dire che è stata scoperta l’ennesima tavola calda all’interno di una costruzione di tutto rispetto. Superando l’ostacolo del nome, ciò che lascia estasiati è il fatto di poter osservare tutt’ora le vivande presenti in quel fatale giorno del 79 d.C., quando venne fermata per l’eternità dal materiale piroplastico tutta la scena, comprese le pietanze preparate duemila anni fa.

All’interno delle pentole in terracotta sono state ritrovate parti di un capretto, delle lumache e persino del vino “aromatizzato” alle fave. Il cibo era pronto e consumabile immediatamente, un’idea a noi familiare, ma di certo ingegnosa per i romani, i quali è risaputo che preferissero mangiare all’aperto, anche in questi luoghi. Insomma, il cibo di strada non è assolutamente una invenzione americana del secolo scorso. Al massimo può essere considerata una rivisitazione. Marmi policromi nel pavimento, un grande bancone a “L” interamente dipinto, un balcone con una Nereide raffigurata ed altre figure (nature morte e animali) talmente dettagliate che sembrano tridimensionali.

Le prime tracce di questo Termopolio erano state rinvenute già nel 2019, quando era stato ritrovato il balcone situato al primo piano e un lato del bancone, quello che si affacciava sulla piazza centrale di Pompei.

Probabilmente, questa bottega romana potrà aggiungere molte conoscenze sulle abitudini alimentari dei nostri antenati. Ora i dolia, ossia i contenitori in terracotta, verranno analizzati anche in ambito chimico per l’individuazione e la conferma dei residui di cibo presenti all’interno della bottega. Resta il fatto che le preparazioni, gli strumenti e la composizione del luogo danno un senso di innovazione tutt’oggi.