Di Marco
Quanto a consumo di droghe il nostro paese è fra i peggiori in Europa, con il 22% degli adulti fra i 15 e i 64 anni che nel 2017 ha fatto uso di una qualche sostanza. La stessa percentuale dell’Olanda. Se consideriamo la percentuale di persone dai 15 ai 64 anni che nell’ultimo anno ha assunto una qualsiasi droga, l’Italia si colloca in terza posizione dopo Repubblica Ceca e Francia. Per quanto riguarda il consumo di cannabis siamo addirittura in seconda posizione a pochissima distanza dalla Francia, e in quarta per assunzioni di cocaina. Non siamo invece fra i principali consumatori in Europa di ecstasy e anfetamine. Numericamente, come consumi è la cannabis a risultare predominante, mentre la cocaina è la principale sostanza confiscata nel nostro paese e l’eroina, la prima causa di morte per overdose.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dal bollettino annuale EMCDDA (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze) a farla da padrona è la cannabis, sia in Italia che in Europa, consumata da 23,5 milioni di persone (il 7% della popolazione), di cui 17,1 milioni di giovani under 34 (il 13,9% di loro). L’87% degli europei ha dichiarato di aver consumato cannabis almeno una volta nella vita. Sono tuttavia i giovani a consumarla di più: il 21% dai 15 ai 24 anni, il 16% dai 25 ai 34 anni, il 7% dai 35 ai 44 anni, il 3,6% dai 45 ai 54 anni e solo l’1% over 55.
Di fronte a questi dati, la domanda che sorge spontanea è: perché così tanti giovani fanno uso di droghe? Cosa spinge un adolescente o un adulto ad avvicinarsi a queste sostanze?
Una risposta molto interessante a queste domande la si può trovare nel testo di una delle più famose canzoni di Fabrizio De André: “Il Cantico dei Drogati”,dove accanto al dolore c’è anche la condanna esplicita della droga e soprattutto dei suoi effetti. Fabrizio De André non può essere certo considerato un moralista, né un predicatore. Ha provato su di sé gli effetti dell’alcol e della dipendenza e quindi parla per esperienza vissuta. Il testo risulta crudo ed essenziale e per questo tanto efficace: nella mente di un drogato non c’è più posto per Dio né per un amore, ma solamente per un sovrumano vuoto che rende senza senso le parole, impedendo di comunicare. L’incipit del brano riassume, con la grazia che è tipica del cantautore genovese, la condizione del drogato: “Ho licenziato Dio, ho gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore.”
Il drogato è ossessionato da fantasmi, costruiti dalla sua stessa mente, che lo opprimono con la loro presenza inquietante e sinistra, come le domande senza risposta: “chi e perché mi ha messo al mondo?” o “chi sarà mai il buttafuori del sole?”. Tutta la desolazione esce fuori con la voglia di non vivere: giorni già usati, sempre uguali a loro stessi nella ricerca della sostanza di cui si è dipendenti. Senza un motivo per alzarsi la mattina: chi si prende la briga di tirar fuori tutte le mattine il sole?
Il ritornello della canzone riprende il vuoto più terribile, quello che costringe all’isolamento e alla vergogna: “come potrò dire a mia madre che ho paura?”. Il finale stupisce in quanto il drogato si rivolge direttamente all’ascoltatore: “tu che mi ascolti insegnami un alfabeto che sia differente da quello della mia vigliaccheria“.
La droga è questo: disperazione, “un sordo lamento” e soprattutto una fuga dalle responsabilità e dalla realtà. In un presente, dove le prospettive per il futuro sono sempre più incerte e la programmazione della propria vita va di DPCM in DPCM, il giovane scaglia la propria insofferenza e rabbia nella droga. Aliena il proprio malcontento e la propria frustrazione nella dipendenza, in cui spera di trovare sollievo da una condizione personale di insicurezza e fragilità.
Nel XXI secolo, la droga assume sempre di più il ruolo del “Soma”, ossia la “ideale” sostanza stupefacente, descritta nel romanzo distopico “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley; priva di qualsiasi effetto collaterale sgradevole (se non quello di accorciare la vita di qualche anno, ma non è poi un prezzo troppo alto per la felicità) e prodotta in forma di compresse da mezzo grammo, aggiunta alle bevande e – quando necessario per sedare situazioni di disordine pubblico – spruzzata nell’aria come aerosol.
Attraverso il soma, distribuito gratuitamente dallo Stato a tutti i cittadini sin dall’infanzia, viene realizzato l’ideale utopico di un mondo in cui in nome della stabilità sociale viene bandita qualsiasi forma di sofferenza, a partire da quella generata dai vincoli familiari e amorosi, non più previsti nella società descritta nel romanzo. I confini tra fantascienza huxleyana e realtà, però, sembrano essere sempre più sfumati, cosicché la droga oggi ci appare come uno strumento di controllo sociale e annichilimento delle coscienze.
Di fronte allo smarrimento per un presente incerto e un futuro senza prospettive, il senso di inadeguatezza e la frustrazione dei giovani non può sopirsi “vigliaccamente” nella droga, ma deve essere la fonte da cui i giovani stessi devono prendere le forze per cambiare il proprio presente, al fine di dare basi solide al proprio futuro.
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