Da Cippa e Buttus

Nella notte tra il 14 ed il 15 dicembre del 1702 quarantasette uomini si riversarono nelle strade di Edo, in Giappone, vestiti in armature di cuoio, marciarono preannunciati dal suono del tamburo suonato da Oishi Kuranosuke, il loro generale, verso la casa del maestro delle cerimonie Kira Yoshinaka. Quella notte sconfissero 61 guardie armate senza subire nemmeno un graffio e infine riuscirono a portare a termine la vendetta riscattando il loro onore di guerrieri.

Questi 47 uomini erano Ronin: ex samurai un tempo al servizio della nobile casata Asano, ormai in rovina. Per capire i motivi alla base della vicenda è però fondamentale andare indietro negli anni, prima che la casata andasse in rovina.

Asano Naganori divenne capo del Clan in età molto giovane, fu così necessario per lo Shogun fargli prendere delle lezioni da Kira Yoshinaka. Quest’ultimo però, non mancò occasione per infierire su Asano con una lunga serie di provocazioni, alle quali il capo Clan seppe resistere con pazienza fino a quando Kira gli ordinò di allacciargli la scarpa e subito dopo si disse insoddisfatto apostrofandolo come un bifolco. Fu a questo punto che Naganori perse ogni controllo ed estratto il wakizashi attaccò l’impertinente Kira.

L’attacco fallì a causa dei pesanti vestiti di corte (progettati proprio allo scopo di impedire movimenti che potessero mettere a rischio i signori – n.d.r.) e Kira finì solamente sfregiato ma senza che la sua vita venisse messa in pericolo. Un’aggressione a mano armata era il crimine più grave che si potesse commettere all’interno di un castello, fu così che il giovane Asano venne immediatamente arrestato e condannato a morte dallo Shogun che gli ordinò di darsi la morte compiendo seppuku. In seguito, vennero mandati dei messaggeri alla dimora di Naganori con l’ordine di disperdere il clan così che i samurai al suo servizio diventarono tutti dei ronin, ossia uomini senza padrone.

Molti dei samurai che affrontavano questa sorte si reinventavano come guardie del corpo, altri si davano al brigantaggio, alcuni tornavano a casa e offrivano i servigi a difesa del villaggio dove vivevano, altri ancora decidevano di diventare monaci, ma tutti avevano in comune l’essere mal visti e disprezzati tanto che ad alcuni veniva data la caccia dai samurai ancora legati ad un signore. Ancora oggi in giapponese “ronin” ha un significato dispregiativo, indica infatti uno studente che ha fallito un esame di ammissione.

Tornando però al 1700, pochi furono i ronin che riuscirono nell’impresa di riscattare il proprio onore come i 47 di Asano Naganori, che decisero di vendicare il loro antico signore fino alla morte tramite la pratica del katauchi.

Kira e le sue guardie li misero immediatamente sotto controllo dopo la morte di Asano, temendo una possibile vendetta, iniziarono così due lunghi anni in cui i 47 si impegnarono a eliminare ogni sospetto su di loro. Si dedicarono alle attività più basse, bevendo e ricoprendosi di tutto il disonore possibile per rendersi innocui agli occhi del nemico. Oishi, il loro generale, abbandonò addirittura la famiglia senza motivo per trasferirsi a Kyoto dove iniziò a frequentare assiduamente i quartieri malfamati bevendo ininterrottamente, arrivando addirittura a farsi riempire di botte senza reagire in mezzo a una strada, atto totalmente inconcepibile per un guerriero.

In realtà, però, questi uomini apparentemente caduti in miseria conservarono le vecchie armi e i cuori furenti attendendo per due lunghi anni che lo sguardo di Kira perdesse l’interesse nei loro confronti.

Decisero infine che era giunta l’ora di radunarsi e portare a compimento il piano la notte del 14 dicembre di più di 300 anni fa e si presentarono alla porta dell’uomo ritenuto responsabile della disgrazia del loro signore con l’obbiettivo di riscattarne l’onore. Una volta all’interno dell’edificio uccisero 16 guardie e ne ferirono 22 senza subire perdite, prendendo così il pieno controllo della casa. A quel punto si misero a cercare Kira e finalmente lo trovarono nascosto nella legnaia assieme ad alcune donne e le ultime due guardie armate. Messe fuori gioco le guardie fu facile per loro disarmare l’ormai impotente nemico, gli venne offerta la possibilità di suicidarsi in modo onorevole utilizzando lo stesso wakizashi utilizzato due anni prima da Asano, ma di fronte al suo silenzio Oishi terminò l’opera decapitandolo.

Compiuta la vendetta portarono la testa di Kira sulla tomba di Asano e a quel punto andarono tutti e 47 dallo Shogun per consegnarsi alla legge. Gli fu concesso il Seppuku in quanto agli occhi del signore dopo il completamento del katauchi oltre che l’onore di Asano anche il loro onore di samurai poteva dirsi ristabilito. Venne lasciato in vita solo il più giovane della squadra, così che potesse raccontare la sua storia e quella dei 46 compagni non facendone perdere la Memoria.

Gli altri 46 uomini accettarono di buon grado la concessione dello Shogun e si squarciarono il ventre con le lame dei loro wakizashi. Ancora oggi le loro spoglie sono tumulate nel tempio di Sengakuji assieme al loro vecchio padrone Asano Naganori, dove ogni 14 dicembre, si tiene il Ghishi-sai no cha, una cerimonia del tè in loro memoria.

L’accaduto divenne subito molto popolare in tutto il Giappone e i 47 guerrieri passarono ben presto alla storia come uno dei maggiori esempi di ciò che significa incarnare la dottrina del Bushido, infatti dato che la parola ronin in giapponese ha un significato negativo molto spesso vengono ricordati come i 47 gishi e cioè i 47 uomini retti. A distanza di pochi anni iniziarono a circolare le prime opere teatrali sull’accaduto e ancora oggi esse vengono messe in atto. In ultimo, nell’epoca moderna, la vicenda è stata di ispirazione per vari film (tra cui il celebre e molto romanzato con Keanu Reeves) e racconti letterati.

Questi uomini incarnano sicuramente un eterno esempio di coraggio, sacrificio, onore e perseveranza che ogni individuo dovrebbe ricordare e a cui dovrebbe portare il proprio rispetto sia egli Orientale o Occidentale.

Questa vicenda ci insegna che non ha importanza quanto può essere pesante una sconfitta subita o quanto bassa la condizione a cui questa porti, la vera sconfitta arriva solo se si accetta passivamente la propria condizione.