Di Elena

Machievelli è storicamente uno degli autori più fraintesi e mal giudicati della storia della letteratura e della filosofia, nonché incubo di generazioni di studenti. Si dimostra essere un autore fortemente eclettico ed avanguardista, ma per tanti soggiorna nella mente come colui che pronunciò una fatale massima, ‘’il fine giustifica i mezzi’’ (frase che egli mai scrisse su carta).

Il suo contributo più significativo al panorama culturale europeo è ‘’Il Principe’’ del 1513: un trattato di dottrina politica. Scorrendo le pagine del Principe è inevitabile constatare che possa essere considerato ancora attuale se non ci fermassimo a contemplare la scrittura arcaicizzante, l’appellativo Principe e principato o il monito rivolto ai Medici fiorentini.

Con il termine Principe si intende un Capo di Governo: un leader audace ed energico (con questa breve descrizione ci allontaniamo di molto dalla pietosa gestione del paese a cui assistiamo in questo periodo storico).

Non tutti nasciamo leader, le doti e le capacità che possiede un Capo non sono riscontrabili in ogni uomo perché la verità è che non siamo e non potremmo mai essere tutti uguali, anche se l’omologazione è l’obbiettivo della società odierna. Il Principe non nasce già completamente sviluppato e pronto a tenere le redini di un paese, egli deve necessariamente plasmarsi e migliorarsi e soprattutto deve convivere con la consapevolezza che prendere delle decisioni non è né sollazzevole né comodo.

Un Principe, (insieme leone e volpe) deve essere istruito ed incline all’imitazione dei comportamenti dei grandi uomini che lo hanno preceduto (ora Machiavelli si riferiva all’Antica Roma e al Rinascimento, noi potremmo allungare la lista di qualche secolo), inoltre deve saper mostrare le necessità e le carenze dello stato al suo popolo affinché questo sia coinvolto nella vita pubblica e meno propenso alla ribellione, è irrimediabilmente sbagliato tenere la propria gente all’oscuro delle dinamiche politiche o prenderla in giro con parole vuote e accecanti perché renderebbe precaria la gestione del potere.

Un leader conosce l’importanza dell’esercito perché comprende la rilevanza dell’arte della guerra e di conseguenza non è tentato nell’avvicinarsi dei mercenari: orientati al tradimento, pericolosi, disuniti, indisciplinati, infedeli ed ambiziosi. Il mercenario è un’incognita che non sarà mai in grado di garantire stabilità.

Un Capo è un uomo saggio ed essendo saggio non è ignaro del peso della sorte e della fortuna nel corso della storia quindi sa calibrare le sue decisioni e ponderare se sia il caso di chiedere consiglio o aiuto (alleanze) qualora se ne presenti il bisogno. Dato il grande peso della fortuna nelle vicende storiche il Principe ha imparato a prevedere determinati eventi attraverso lo sviluppo delle proprie virtù, due tra le più importanti sono la prudenza e l’audacia, utili per mantenere o conquistare uno stato. La prima garantisce l’opportunità di farsi amare dal popolo e temere da altri potenti, la seconda regala la possibilità di (ri)crescita e (ri)costruzione qualora la situazione peninsulare fosse disastrosa (Machiavelli pensava ai Medici e ad una possibile unificazione del Regno sotto il loro comando, a noi verrà sicuramente in mente qualcosa di più attuale). La violenza in certe situazioni è indispensabile e ce lo confermerà Hegel (la guerra non è solo inevitabile, ma possiede un alto valore morale in quanto preserva la comunità umana dall’atrofia, frutto di una pace durevole). Un buon esercito rende lo Stato rispettato e riconosciuto dagli altri Stati perché allontana la possibilità di sottomissione dello Stato stesso.

 Quando un uomo diventa Capo, è consapevole dei rischi che comporta e quindi sa che nel momento in cui si assume le sue responsabilità la sua anima sarà a servizio dello Stato (questa è la prima scelta imposta ad ogni buon politico). Egli è un ‘’centauro, mezzo bestia e mezzo uomo’’: sa combattere con la legge e con la forza bruta perché sono complementari. Machiavelli è convinto (come Nietzsche) della ciclicità dei meccanismi storico-politici e della conseguente necessità di agire (prudentemente) in un tempo ridotto perché procrastinare senza chiudere i conti con la realtà provoca una frattura e un tradimento del popolo che si governa. La tempestività è dunque un valore essenziale (e irraggiungibile se affossato dalla burocrazia).

 È l’azione virtuosa del Principe che assicura il quieto vivere ai cittadini, egli è il primo garante della tranquillità del suo popolo ed il primo a cui appellarsi o incolpare in caso di mala gestione o mal funzionamento dell’apparato statale.

Riprendendo un argomento già accennato, nello Stato machiavellico vi è libertà quindi partecipazione, ma al fine di una migliore comprensione, va precisato che il concetto di libertà è poco stabile, esso può avere diverse accezioni in base alla corrente filosofica di riferimento. Per Machiavelli, la libertà è sinonimo di partecipazione: tutti i ceti devono prendere parte alla vita politica (devono essere quindi direttamente coinvolti nella gestione politica). Non si sta parlando di libertà individuale (Kirkegaard) o bene individuale, quanto piuttosto di bene collettivo ed equilibrato tra le parti (un nobile antenato potrebbe essere Platone, ma solo nel fine a cui tendere: il bene va condiviso). In uno stato giusto per comunità non si intende ‘’maggioranza’’, ma totalità, sappiamo per esperienza essere abbastanza utopico. La maggioranza d’altra parte non rispecchia il tutto e può sfortunatamente creare delle scissioni e non rispecchiare la realtà dei fatti (vedi il sistema ‘’democratico’’ negli stati moderni).

 Anche il conflitto all’interno della comunità è ammesso, perché garantisce dinamicità, vitalità e progresso, in questo ultimo punto è in antitesi con i padri della filosofia classica che vedevano nella risoluzione dei conflitti la felicità del popolo.

Ai nostri giorni, riflettere sui consigli machiavellici pare impossibile e la causa va ricercata nella storia. Anni e anni di indottrinamento stanno producendo i loro effetti: generazioni di esseri umani assopiti, ignoranti e saccenti.