Di Andrea
La situazione odierna, complice l’ormai nota “seconda ondata”, sta inesorabilmente tornando alle condizioni di privazione imposte nei primi mesi dell’anno, misure già praticamente vigenti nelle regioni inserite nella cosiddetta zona rossa (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Calabria, provincia autonoma di Bolzano) le quali molto probabilmente andranno ad aumentare il loro numero col passare delle settimane.
Nonostante le proteste, talvolta anche violente, di una parte della popolazione che comprende specialmente le categorie più colpite dagli scellerati DPCM del governo Conte, la situazione è andata via via sempre più peggiorando.
Questi tentativi non hanno avuto il sostegno della maggioranza della popolazione, complice spesso la frammentarietà e la disorganizzazione, e in aggiunta la quasi totalità dei media mainstream ha condannato queste iniziative relegandole a fenomeni isolati di una minoranza violenta, mostrando ancora una volta l’asservimento e il servilisimo della grande informazione.
La questione sulla quale è bene riflettere, però, è quella del perché la moltitudine non solo subisce passivamente queste privazioni (oltretutto dopo aver già sperimentato un precedente lockdown con le relative devastanti conseguenze evidenti a tutti) ma paradossalmente in alcuni casi le chieda espressamente, compiacendosene come lo schiavo che lustra le proprie catene.
Cerchiamo quindi di indagare su quali siano le cause profonde di questa “servitù volontaria” ed estirparle affinché l’uomo non diventi un automa al servizio del potere.
Queste cause devono andarsi a ricercare nel profondo cambiamento (ormai si può dire generalmente compiuto) che hanno subito le radici metafisiche dell’individuo in rapporto con delle esperienze che possiamo ritrovare nella realtà sensibile.
Innanzitutto, il rapporto con la morte, relazione essenziale per capire la situazione di oggi. La morte storicamente è sempre stata compagna di vita dell’uomo, la sua esperienza era pressoché quotidiana e nonostante fosse nella maggioranza dei casi temuta era considerata parte integrante del tutto, anzi, se incontrata in certe situazioni (guerra, lotta, duello) era considerata da alcuni una condizione di privilegio, esteticamente bella se non addirittura ricercata volontaristicamente come segno di un vitalismo radicale.
Queste convinzioni sono mutate significativamente con l’avvento dell’era moderna, dove un capitalismo sfrenato ha moltiplicato la violenza disonorevole e negativa, strutturando la vita degli uomini a proprio unico vantaggio, appiattita a comoda e sicura sopravvivenza borghese, dove “vivere pericolosamente” è bandito con la morte diventata un nemico da sconfiggere e che quasi più nessuno è disposto ad affrontare per ragioni superiori, staccate dalla mera materialità e dall’utilitarismo del corpo, ma che si riferiscano invece alla vera esistenza dello spirito, ciò che ci identifica come uomini: una di queste è proprio la libertà.
La pandemia di questi mesi ha portato alla luce questo aspetto in modo lampante: la paura della morte ha più valore della perdita della libertà. Bisogna ripensare la morte come fatto possibile, intenderla come atto nobilitante ed elitario dello spirito sbeffeggiandola goliardicamente, così facendo nessuno sarà più disposto alla servitù e la paura lascerà spazio alla lotta.
A queste considerazioni si allaccia un altro aspetto che caratterizza questa volontà di catene (che è in realtà noluntas): la sicurezza. Tanto agognata in questi mesi di Covid19, ha fatto sì che le misure restrittive venissero invocate in nome della stessa dai medesimi cittadini, condannando ancora di più loro stessi alla condizione di schiavitù in cui sono ora riversati. In un periodo di forte destabilizzazione, dove il potere dominante inizia a non sentirsi più completamente al sicuro, lo stesso si fa portatore di ordine e sicurezza per contrastare le istanze rivoluzionarie che cercano di abbatterlo.
La pandemia mondiale è stata utilizzata come grande riassestamento e ristrutturazione del sistema per il mantenimento dello status quo, che aveva iniziato a subire degli attacchi interni nell’ultimo decennio circa (crescita dei movimenti identitari e del sentimento anti UE, rivolte dei Gilets jaunes, proteste contro Wall Street, ecc…).
Questa emergenza sanitaria, insomma, ha indotto la popolazione alla paura e alla richiesta di sicurezza e ordine, con la conseguenza della mostrificazione di quella parte di popolo che, non arrendendosi, si oppone allo stato delle cose, dipingendoli inoltre come untori e spingendo la popolazione a fenomeni infami come la delazione.
Cercare di contrastare questi meccanismi è un’impresa ardua che necessiterebbe di molto tempo, che però noi non abbiamo. Per questo deve nascere una minoranza consapevole e ideologicamente forte in grado di creare e guidare il cambiamento, le catene si possono spezzare soltanto con la forza.
La storia è composta da tappe cruciali e il momento che stiamo vivendo è uno di questi, non possiamo perdere l’opportunità che ci viene data. Un nuovo risorgimento deve liberare questa nazione e il mondo.
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