Di Bianca

Il caso di Willy Monteiro Duarte ha polarizzato l’attenzione dell’informazione nazionale, attirando una miriade di testate che ne hanno trattato (più o meno legittimamente) il misfatto, verificatosi nella notte fra sabato e domenica scorsi a Colleferro, nei pressi di Roma. Il giovane, di soli 21 anni, è stato coinvolto in una rissa di piazza, per essere intervenuto nel vano tentativo di sedarla; ma infine è stato lui stesso a essere aggredito con percosse che si sono poi rivelate fatali. Le cause determinanti del decesso saranno evidenziate dall’autopsia sul corpo del ragazzo, effettuata nella giornata di ieri.

Questi in sostanza i fatti, che corrispondono alle poche sicurezze raccolte, visto che le dinamiche sono ancora da accertare (e, conoscendo i ritmi dell’odierna giustizia italiana, conviene mettersi comodi, specialmente se le prove non vergono del tutto contro i rei già indicati dalla massa). Sono ancora da stabilire le identità degli aggressori, il loro numero, la durata della rissa, le cause e via dicendo; ma l’accaduto, nel frattempo, è andato presto incontro all’ennesima spettacolarizzazione dei social, che nulla esclude, nemmeno l’informazione. Figuriamoci poi se si tratta qualcuno che non ha origini italiane, la figura proibita e al tempo stesso intoccabile dell’eterno dibattito governo-opposizione, che si conferisce la prerogativa di individuare eroi ed eretici.

Per “eretici” in particolare si parla dei cinque giovani indagati per la morte di Willy, dei quali quattro arrestati con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Due sono i fratelli Bianchi, la cui passione per le arti marziali condivisa sui profili social ha confermato la sentenza rossa finale, già stabilita in partenza dalla sinistra, di aggressione con movente razziale, per via della violenza intrinseca che caratterizza certi individui. Questi ultimi corrispondono infatti all’identikit costruito ad hoc per queste notizie di cronaca: il maschio bianco etero, bruto e insensibile, che fra tutti i suoi difetti coltiva pure l’interesse per gli sport da combattimento, così da poter sfogare con maggiore efficacia il suo odio discriminatore.

E poco importa se c’è chi li conosce e sostiene la loro innocenza: o appartiene alla stessa categoria, o viene ignorato. Anche se i fratelli Bianchi non rispettano esattamente l’immagine dell’uomo europeo condannato esclusivamente per il suo passato da razzista colonialista, essendo già conosciuti per precedenti penali per droga. Inoltre, infierire in quattro contro uno solo, che nemmeno era l’obbiettivo iniziale dell’aggressione, di certo non rende loro onore. Ma a prescindere da questi fatti, per i motivi elencati nel paragrafo sopra sarebbero già stati in una posizione di condanna, perché come ben sappiamo i benpensanti hanno incluso nella categoria “suprematisti xenofobi” tutti gli individui di sesso maschile nostrani.

Willy invece? Beh, corrisponde in tutto e per tutto all’altro personaggio della vicenda, che per natura si oppone a quello analizzato in precedenza: un cittadino modello, un bravissimo ragazzo, dolce, disponibile, lavoratore; un esempio, insomma, specialmente di coraggio, per aver reagito alla brutalità cieca e crudele dei suoi assassini. Che vi serva da lezione, aggiunge qualcuno, voi che non intervenite contro questo palese degrado civile dovuto al razzismo. Ecco cosa succede, quando non contribuite a fermare questa cultura dell’odio. Starete ancora in silenzio la prossima volta o vi unirete al coro della massa?

Ed ecco che ci è stata propinata una nuova vittima, che entra a far parte di una schiera di personaggi santificati ed eretti come i poveri discriminati dal “sistema”. Che, paradossalmente, ricorre a sé stesso come capro espiatorio (definendosi razzista, sessista, omofobo eccetera) per legittimare le sue medesime rivendicazioni, presentate falsamente come una qualche lotta disperata per la libertà. L’oppresso di turno è Willy, i partecipanti alla rissa rimandano alla società retrograda e pericolosa che certi politici andrebbero a promuovere (politici che non sono minimamente in grado di affrontare l’argomento per difendere la loro posizione, e quindi decidono di ignorare questi fatti dando così credito alle accuse della fazione opposta).

Così come sostiene Daniele Leodori, vice presidente della regione Lazio, che ha sollecitato Twitter e Facebook a “intervenire subito per fermare post e profili che speculano in modo vergognoso su Willy e la sua morte”. Un range di contenuti e contatti che sicuramente esclude quelli che gridano all’omicidio razziale e a uno scenario apocalittico di soprusi e bullismi contro chi è innocente e diverso. Meglio dire, contro chi è diverso e per questo innocente. Si potrebbe aggiungere anche una breve considerazione, cioè che Leodori è in ritardo coi tempi: Facebook già si è prodigato a garantire la giustizia social(e) censurando le identità scomode. Quindi non avrà troppi problemi a vedere la sua richiesta soddisfatta.

Nell’”omicidio Willy” un ulteriore fattore determinante sembrano essere le palestre, e in particolare le discipline di arti marziali, come cause che vanno a incentivare la sete di risse e di botte che assale chi le frequenta, declassando i combattenti come delle bestie pronte a scattare alla minima provocazione. Le sedi di allenamento di questi sport sono state definite come contesti giovanili nei quali si sviluppa quella violenza tanto condannata, ignorando del tutto che in realtà la violenza in sé non è né positiva, né negativa; dipende dal contesto e dalla modalità con cui si applica (ai quali le palestre, non bisognerebbe specificarlo, sono del tutto estranee). Questo principio viene rispettato e al tempo stesso stravolto dalla sinistra, che guarda però al colore della pelle, e a seconda di questo ne dichiara la legittimità o meno. E se fossero stati dei capoverdiani a togliere la vita a un italiano? Come sarebbe cambiata la faccenda (pensiamo a Tommie Lindh)? Già, appunto.

Sia chiaro che non si vuole difendere coloro che sono stati messi alla gogna dal gregge mediatico per la morte di Willy. E che tra l’altro, come sono stati sommersi da minacce e insulti vari da molti, sono stati al tempo stesso lodati da altri per aver fatto fuori un non italiano. L’intento è semplicemente quello di far luce sul teatrino meccanicamente riproposto che tratta di fatti dove sì c’è violenza, ma non per avversione dovuta a un’altra provenienza, a un altro oriento sessuale o a qualsiasi altro motivo appartenente alla carovana di delitti contro i diritti umani. Rendere Willy un povero martire indifeso, al contrario, non fa che sminuire e ridurre l’importanza di ciò che gli è successo, etichettandolo come semplice caso di razzismo e quindi sì, è l’ennesimo caso di discriminazione, ce ne sono stati tanti altri uguali, vedete quanto siete xenofobi? E nulla cambia se il tribunale ha smentito il movente razziale.

Willy era un ragazzo che (innegabilmente e a prescindere dai suoi natali) aveva un impiego e una famiglia, ma per non essere di origini italiane verrà ricordato quando in futuro si parlerà (in maniera ben ridotta) di un reato commesso da un extracomunitario, e verrà usato come una giustificazione di quanto gli stranieri irregolari, in realtà, non siano tutti ladri, stupratori, spacciatori, e aggressori. Willy, sicuramente non un angelo perfetto e intoccabile, ma una persona a cui nulla si poteva rimproverare, nominato come scusante per difendere dei veri delinquenti che, come lui, diventeranno solo vittime dell’odio razziale, e che quindi non pagheranno. Questa è la vera ingiustizia.