Di Tommaso

Das Boot, la serie tedesca prodotta da Bavaria Fiction e Sky, merita assolutamente di essere vista.

Si propone di essere il sequel del celebre film Das Boot di Wolfgang Petersen, anche conosciuto come U-Boot 96: il compito non è affatto facile ma Andreas Prochaska compie davvero un ottimo lavoro, riuscendo a tenere lo spettatore incollato allo schermo per 8 episodi pieni di colpi di scena.

Siamo alla base sottomarina di La Rochelle, nella Francia occupata dalla Germania nazista, i due fratelli alsaziani Frank e Simone Strasser si sono da poco riuniti ma le loro strade si divideranno subito: Frank si imbarca come capo marconista sul nuovissimo U-612 capitanato dal giovane comandante Hoffmann, mentre Simone lavorerà nell’ufficio del capo della polizia segreta.

Da qui i filoni narrativi saranno due, che seguiranno le avventure dei due fratelli.

La vita di Simone viene stravolta quando viene a conoscenza che il fratello ha un figlio da una giovane donna ebrea e assiema a lei stava progettando di partire verso gli Stati Uniti e si ritrova invischiata, senza troppa cognizione di causa, nella cellula locale delle Brigate Internazionali che si oppongono al regime tedesco. La Resistenza però non è trattata con i soliti logori toni reverenziali, il regista mette a nudo la violenza e la spietatezza che fuoriescono da entrambe le fazioni, la resistenza appunto da una parte, e i tedeschi occupanti la città dall’altra. La pietà sembra sconosciuta a tutti, a chi compie attentati per destabilizzare il potere, noncuranti delle vite innocenti spezzate, e a chi sceglie i cittadini casualmente per rispondere con rappresaglie ai continui attentati.

Sull’U-612 invece le cose iniziano a mettersi male sin da subito, il primo ufficiale Tennstedt è invidioso del giovane capitano, ruolo che pensava gli spettasse di diritto vista l’esperienza accumulata, e fra l’equipaggio circolano voci infondate che minano la fiducia nel loro capitano.

La panoramica sulla vita a bordo di un sottomarino è eccezionale, traspare il senso di claustrofobia dello stare in cinquanta persone in una scatola di latta sotto la superficie del mare, la durezza della vita in camera di lancio o in sala motori, il senso di sconforto che può scaturire dalla mancanza di azioni belliche e la distanza emotiva fra gli ufficiali, consci dell’andamento della guerra, e i marinai, pieni di entusiasmo e convinti di poter vincere una guerra ormai al suo epilogo.

Di rilievo è anche l’umanità dei militari tedeschi, aspetto presente anche nel film ma in molti titoli dello stesse genere ignorata.

I rapporti fra il capitano e il primo ufficiale si incrinano definitivamente quando Hoffmann abbandona il branco per eseguire un ordine arrivato dal comando centrale, lasciando i camerati in pasto a un convoglio alleato.

Anche l’equipaggio si mostra scontento quando si scopre che l’ordine era di recuperare un ostaggio americano per uno scambio di ostaggi.

La pedina di scambio è il folle Capitano Wrangel, che sfrutta il malcontento a bordo del vascello per far ammutinare l’equipaggio, destituire Hoffmann mandandolo alla deriva e prendere controllo dell’U-612, promettendo grandi gesta belliche. La prima azione militare del nuovo capitano si rivela però un’impresa suicida, e l’U-612 affonda inesorabilmente, se non fosse per una secca che ferma il sottomarino a 250 metri di profondità, senza batterie né motori per risalire in superficie.

Sarà l’occasione di Tennstedt per riscattare il suo onore e permettere ai camerati di fare ritorno a La Rochelle.

Il consiglio è di spendere otto ore per guardare la prima stagione che sicuramente non vi lascerà delusi, e vi invoglierà a guardare la seconda, di cui parleremo la prossima volta.