Di Alberto
Il mese scorso si è riacceso uno dei conflitti più cruenti degli ultimi 20 anni, ai più sconosciuto. Le ostilità fra l’Armenia, di religione cristiana, e l’Azerbaijan, musulmano sunnita, nascono negli anni novanta.
Le due ex repubbliche sovietiche si fronteggiarono per il il controllo dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, una regione montuosa in territorio azero ma con quasi la totalità della popolazione di etnia armena.
Da quel conflitto, durato dal 1988 al 1994, il governo di Baku ne uscì sconfitto con la conseguente perdita, de facto, di parte del suo territorio. Dopo svariati scontri negli anni, di cui il più importante nel 2016, i due stati si sono trovati a fronteggiarsi di nuovo durante il mese di luglio.
Questa volta gli scontri sono avvenuti nel distretto di Tovuz, di vitale importanza strategica per le esportazioni petrolifere azere. Il tutto è iniziato con uno scambio di colpi di artiglieria fra le due parti e il successivo abbattimento di droni da parte delle rispettive contraeree.
Stabilire chi ha iniziato il conflitto è difficile poiché i due Paesi si accusano a vicenda.
Questo conflitto non va visto come un semplice scontro regionale fra due paesi caucasici, una regione già di per sé molto instabile, solo per motivi etnico-religiosi: dietro la miccia degli ultimi scontri ci sono sicuramente le pressioni degli sponsor dei due Stati, primo fra tutti la Turchia di Erdogan, storica sostenitrice del governo di Baku in chiave anti armena.
È noto ormai come Erdogan stia cercando di allargare la sfera di influenza turca, basti pensare all’intervento militare il Libia al fianco di Al-Sarraj, e non dovrebbe stupire che sia stata proprio Ankara a far pressioni per un riaccendersi del conflitto. È poi noto l’astio fra Turchia e Armenia, storicamente legata alla Russia.
Un altro aspetto importante della vicenda è quello del estremismo islamico: è stata appurata la presenza durante gli anni di conflitto di jhiadisti tra le file delle forze azere e non sarebbe improbabile che la Turchia, sostenitrice di gruppi terroristici da anni, vedendo la guerra in Siria volgere al termine decida di trasferire i combattenti islamici da lei foraggiati in un altro conflitto di suo interesse, come ha già fatto e sta facendo in Libia.
Dal canto suo l’Armenia si ritrova a combattere di nuovo, da sola, per la sua sopravvivenza ed integrità territoriale. Un conflitto che da anni va avanti mietendo centinaia di vittime e che non sembra voler essere fermato.
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