Di Bianca
Conosciamo bene come l’ideologia imperante negli ultimi settant’anni opera per affermarsi, o meglio dire, imporsi. Tra i mezzi più ricorrenti, sicuramente va inclusa la folle mania di cancellare, negare, stravolgere e riscrivere la storia, perché il divenire passato sia in tutto e per tutto conforme agli ideali carini e coccolosi del pensiero unico, che si tratti di demonizzare strenuamente gli avversari oppure di elevare i propri esponenti a idoli e campioni della salvaguardia dei valori umanitari.
Tutto questo senza escludere la distruzione di nomi, volti, scritti, gesta, vite; qualsiasi cosa possa minimamente opporsi all’avanzata di questo insano e grottesco processo contro la storia. E fra le personalità più brillanti e significative segnate nella lista inquisitoria del politicamente corretto, si colloca (da cent’anni ormai) Nicolae Constantin Paulescu.
Eccellente medico e scienziato, ottimo scrittore e saggista, visionario nazionalista rumeno, il suo nome è sconosciuto. Così come il suo merito, che mai in vita gli venne attribuito: la scoperta dell’insulina, cioè l’ormone secreto dal nostro pancreas che, fra le sue principali funzioni, permette la digestione dei carboidrati e del glucosio nelle cellule; eventuali mancanze o problematiche legate all’insulina comportano il diabete, una malattia cronica autoimmune che poi a seconda della causa si distingue in diverse tipologie e include varie terapie.
Una patologia che poco più di un secolo fa era ancora incurabile e che risultava mortale, nonostante la sua millenaria conoscenza: le primissime annotazioni, da parte degli Egizi, risalgono già al 1500 a.C., e sono state poi riprese e approfondite dai medici greci e latini, che le introdussero in Europa. Da secoli, quindi, il diabete è oggetto di studio medico, e nel corso del tempo le varie scoperte del campo hanno contribuito a delinearne l’origine biologica; eppure, prima di Paulescu, la terapia definitiva non venne mai alla luce. Il trattamento prevedeva semplicemente che il paziente diabetico seguisse una dieta estremamente rigida, in quanto si sapeva che non era in grado di eliminare chimicamente i carboidrati. La sopravvivenza del paziente a seconda della gravità delle sue condizioni poteva non superare i tre anni di vita dalla diagnosi.
L’importanza di Nicolae Paulescu fu quella di aver impiegato per la prima volta l’insulina come rimedio medico contro la malattia, e di essere stato quindi il primo in assoluto a poter trattare efficacemente il diabete. Pregio che gli fu riconosciuto col conferire il Premio Nobel per la sua scoperta non a lui, bensì a chi, ricorrendo ai suoi studi, li ha semplicemente ri-applicati. Ma prima di entrare nel vivo della questione, è bene ritrarre gli aspetti più rilevanti della sua vita, non meno importanti del vile affronto alla sua persona.
Nicolae Constantin Paulescu nasce a Bucarest il 30 ottobre 1869, esattamente dieci anni dopo la nascita ufficiale della Romania, data dall’unione della Valacchia (un’antica provincia rumena) e della Moldavia occidentale. Le due regioni storiche combattevano da secoli contro l’Impero Ottomano per mantenere la loro identità e difendere la loro terra, e fin dai suoi primissimi mesi di vita la Romania viene toccata da profondi sentimenti di appartenenza e di dedizione alla Patria; valori che Paulescu non può che fare propri. Della sua giovinezza, sappiamo che si distinse fin da bambino per la sua vivace intelligenza e per la sua innata capacità di affermarsi con eccellenza in diverse discipline. Non solo riportava eccezionali risultati scolastici, ma si interessò precocemente allo studio delle lingue (conosceva perfettamente il latino e il greco), mostrando particolare predisposizione per le scienze naturali. Si laurea in Medicina prima a Bucarest nel 1888, e poi a Parigi nella stessa facoltà nel 1897. In questo periodo, inizia a pubblicare vari articoli scientifici, avviando inoltre i suoi studi sul pancreas e sull’isolamento della sostanza attiva prodotta dall’organo stesso.
Il suo contributo alla ricerca scientifica europea lo rende in pochi anni conosciuto e stimato a livello internazionale. A Paulescu viene offerta la cattedra all’Università di Fraburgo, in Svizzera: e questo nel 1900, alla sola età di 31 anni. Nicolae però rifiuta: sente il desiderio e la necessità di tornare in patria, in Romania, per proseguire sul suolo natio le sue ricerche. Viene accolto con un’altra cattedra, quella di Fisiologia nell’Università di Bucarest, nonché con la direzione della clinica di Medicina Interna dell’ospedale St. Vincent de Paul, sempre a Bucarest: incarichi che subito accetta e ai quali assolve con passione.
Paulescu in Romania è ammirato e rispettato, non solo per aver rappresentato la sua Nazione con i suoi meriti professionali, ma anche per la genialità delle sue numerose produzioni scritte, che non si limitano al campo scientifico ma che affrontano anche tematiche come l’etica della biologia, la critica al materialismo e il rapporto fra anima e Dio, nonché argomenti “proibiti” come la massoneria. Riceve già la prime critiche per le sue posizioni anti-darwiniane: un vero e proprio atto di ribellione nell’immaginario europeo del primissimo Novecento. In quegli anni si assiste infatti al trionfo del progresso e del capitale, oltre al dominio delle ideologie positivistiche e materialistiche, con la convinzione che l’uomo non è altro che un animale generato dalla ragione e che agisce e si afferma unicamente dai bisogni da soddisfare e dai suoi istinti naturali. Una prospettiva ciecamente giustificata dalla teoria di Darwin sull’evoluzione, alla quale Paulescu, da fiero credente ortodosso, si rifiuta con sdegno di dar credito.
L’anno risolutivo per la carriera di Paulescu è il 1916, quando isola un estratto liquido dal pancreas, iniettandolo poi in un cane diabetico, per osservare in seguito la stabilizzazione dei livelli di glucosio nel sangue dell’animale. In altre parole, l’insulina in circolo aveva agito e non vi era alcuna eccedenza di zuccheri: era stata scoperta la terapia funzionale e strettamente mirata alla malattia. Paulescu è costretto a interrompere la sua sperimentazione per via dell’entrata della Romania nella Prima Guerra Mondiale nello stesso anno, prestando servizio fino al 1918; di ritorno dalla guerra, riprende subito la sua ricerca, riuscendo infine a ottenere dal precedente estratto una sostanza specifica, che Nicolae chiama pancreatina. Ed è proprio la pancreatina che contiene l’ormone determinante nella cura antidiabetica, l’insulina.
Paulescu è consapevole dell’importanza medica del suo contributo e rende presto pubbliche le sue ricerche: a partire dal 1919 aggiorna costantemente il suo volume Traité de Physiologie Médicale, trattando nello specifico i metodi da lui impiegati e i risultati ottenuti. Invia inoltre un articolato saggio datato 22 giugno 1922 agli Archives Internationales de Physiologie di Liegi. Quest’ultimo testo consiste nel primo rapporto clinico sulla cura del diabete della storia, e verrà poi pubblicato dagli Archives pochi mesi dopo, il 31 agosto: tanto che il 10 aprile del 1922 gli viene conferito il brevetto sulla scoperta della pancreatina.
E’ quindi impossibile, alla luce dell’evidenza delle fonti storiche, discutere la veridicità della scoperta di Paulescu, o mettere in dubbio l’autenticità dei suoi studi, durati una vita intera: i documenti (e le date) non mentono, e qui di certo non mancano. I conti tornano se si confronta la produzione scritta del medico rumeno con l’articolo edito nel febbraio 1922 dalla rivista Journal of Laboratory and Clinical Medicine, che rappresenterebbe la “svolta” nello studio del diabete. Una “svolta” che segue di quasi un anno la scoperta di Paulescu. L’articolo è distribuito da Banting e Macleod, i due ricercatori canadesi acclamati come “geni” e “salvatori” dei diabetici di tutto il mondo e delle generazioni a venire; che, in realtà, hanno semplicemente replicato quello che Paulescu aveva già operato mesi addietro: stessa metodologia, stesso soggetto (un cane diabetico), stessi risultati fisiologici. E non solo: i due dell’università di Toronto dichiarano esplicitamente le analogie del caso, citando appunto il saggio di Nicolae, aggiungendo di aver solamente confermato l’esito del suo impegno.
Tutto questo viene spudoratamente ignorato dal comitato per l’assegnazione del Nobel, quando nel 1923 conferisce il Premio per la Fisiologia e la Medicina a Banting e a Macleod, senza nemmeno includere Paulescu nel ricevimento del Nobel ed escludendolo del tutto dalla premiazione, calpestando così trent’anni di duro lavoro. Ogni tentativo da parte di Paulescu di ottenere un riconoscimento ufficiale per il suo contributo è vano. Ognuno dei suoi ricorsi va incontro allo stesso destino del suo impegno medico: vengono cioè semplicemente ignorati, senza alcuna spiegazione o chiarimento. Basta notare che la lettera che Paulescu scrisse al Presidente del Comitato del Premio Nobel, il 6 novembre 1923, non ricevette mai risposta.
Nonostante tutto, Paulescu prosegue i suoi studi, con la pubblicazione nel 1928 di un’altra parte del suo trattato; edizione che avviene, tra l’altro, con fatica. Solo cinque anni prima, gli ebrei residenti in Romania ottengono la cittadinanza dal re Ferdinando I, e nel panorama socio-politico rumeno si delineano sempre più avversi alla tradizione religiosa rumena, fermamente cristiana; di conseguenza, Paulescu inizia a essere un personaggio sempre più scomodo per le sue idee politiche. La quinta e ultima parte del suo volume non verrà nemmeno accettata dalle case editrici, per via delle continue minacce e diffamazioni di quella che poi verrà descritta come la “povera” e “perseguitata” stampa ebraica, che lo definisce come un “pericoloso antisemita”.
Nicolae negli ultimi anni della sua vita si ammala di cancro, e muore infine il 17 luglio del 1931, senza mai aver ottenuto una giustificazione della sua perentoria esclusione al ricevimento del Nobel. Pare che il merito particolare del medico e del biochimico canadesi sia nell’aver progressivamente “purificato” la pancreatina, per ottenere la sola insulina, la vera sostanza dall’effetto antidiabetico; ma dalle autorità ufficiali non proviene nessuna dichiarazione ufficiale dell’accaduto. L’ultimo desiderio di Nicolae è quello di essere sepolto avvolto nel tricolore rumeno: richiesta che non viene accompagnata da nessuna rivendicazione rancorosa, ma di ferma umiltà e di devozione alla bandiera.
E ora arriviamo al punto della questione: cosa avrà mai commesso, Nicolae Constantin Paulescu, perché gli si negasse ingiustamente un premio tale, e perché si meritasse tali appellativi crudeli con cotanta ferocia?
Il fatto è che Nicolae Constantin non era solo un genio della medicina sovversivo e anticonformista, ma anche uno dei primi e più grandi studiosi rumeni del Talmud e del Kahal ebraici. I suoi affronti all’ebraismo erano dunque da ritrovarsi anche in ambito religioso e teologico, o comunque in un ambito di moralità che Nicolae coltivava tenacemente, e che sosteneva anche nei suoi articoli. La sua “condanna” definitiva fu l’uscita di uno dei suoi libri, L’Ospedale, il Corano, il Talmud, il Kahal e massoneria, che tanto ha scandalizzato le comunità ebraiche rumene. Era un avversario molto più insidioso e “difficile” del “classico” antisemita: Nicolae conosceva a fondo il suo nemico e la sua causa, e vaghe accuse di insensibilità e odio non valevano di fronte alla sua competenza in materia. Era un avversario col quale la comunità ebraica non era pronta (e non poteva) confrontarsi.
Forse anche per questo i suoi appartenenti non si sono accontentati, decenni dopo, di aver già compromesso pubblicamente l’immagine di Paulescu quando era ancora in vita. Il 21 agosto del 2003 a Parigi, presso l’ospedale Hotel-Dieu, viene organizzata l’inaugurazione di un suo busto con una cerimonia di commemorazione, alla quale partecipano l’Ambasciata di Romania e il professore Gerald Slama operante nell’ospedale. Meglio dire, avrebbero partecipato: l’evento viene infatti annullato all’ultimo momento, per via delle proteste di diverse comunità ebraiche contro il tenebroso e oscuro passato antisemita e razzista di Paulescu. Nobel o non Nobel, genio tradito o meno, Nicolae è stato quello che è stato, e deve pagare per aver disseminato odio. Come precisa Shimon Samuels, uno dei più battaglieri oppositori del ricordo di Nicolae, e che addirittura spiega al Ministero della Sanità francese che Paulescu, come “sostenitore dell’antisemitismo”, non può assolutamente essere una “persona adatta a ricevere riconoscimenti”. Come ci insegnano anche i prodi paladini del Black Lives Matter: ogni merito si azzera davanti al “razzismo” (che ci sia effettivamente, poi, è tutt’altra questione).
La risposta degli organizzatori? Un breve intervento del professor Slama, che si scusa con impacciata perplessità: “Non avevamo mai sentito dire che c’erano delle macchie sul suo passato”. Nulla di più. Come se le posizioni di Paulescu fossero un mistero, e come se egli avesse mai mancato di difenderle con fierezza e audacia, nonostante sapesse bene quale sarebbe stato il prezzo da pagare. Da un sostenitore dell’istanza ebraica arriva l’ultima perla, l’acuta constatazione finale: “Se il Comitato per il Nobel nel 1923 ha giudicato quella persona indegna di ricevere il premio, l’Hotel-Dieu nel 2003 non può fare a meno di concludere che la brutale disumanità di Paulescu annulla tutti i suoi meriti scientifici”. L’insulina è stata “denazificata”, i diabetici possono tornare a curarsi con serenità, la democrazia è salva.
Eccola, la “lezione della storia” che con tanto ardore e buone intenzioni viene illustrata a chi resiste ai dettami dei diritti umani: il fatto che, in realtà, essa non fa che ripetersi; e che coloro che si sentono tutelati e protetti da quest’ultima non hanno nulla di nuovo da proporre.
Ma si potrebbe concludere con l’articolo riportando una citazione dello stesso Paulescu, perché meglio testimonia non solo la virtù, ma anche la dignità che lo accompagnò per tutta la vita, e a cui egli non venne mai meno. Si sottolinea, inoltre, come egli riconosca l’ingiustizia non tanto nel Nobel mancato, ma più che altro nell’onore e nella serietà dello scienziato: “Non sono vittima dell’orgoglio e ho lottato tutta la vita contro questo vizio odioso. In effetti quando ho reso nota la mia scoperta non ho pensato neppure per un momento che la pubblicità avrebbe potuto intaccare la mia modestia, che io ritengo sia una delle prime qualità di uno scienziato. Ma non posso neppure accettare un altro, ben più odioso difetto, quello di chi si appropria del lavoro scientifico altrui…”
Bibliografia: http://www.thule-italia.net/Storia/Insulina/insulina.html
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