Di Alex
Da giorni circola uno spot molto interessante sulle reti Mediaset. Si tratta di uno spot a sostegno degli editori mainstreamitaliani, in qualche modo minacciati da giornalisti indipendentiche svolgono la loro attività prevalentemente sui social, dove è garantita la rapida diffusione degli articoli senza bisogno di pubblicità e sponsor.
Pochi secondi dopo l’inizio del video, compare sullo schermo una serie di palesi fake news riguardo il coronavirus, mentre una voce fuori campo ci invita a non prestare attenzione agli editori indipendenti, ma di scegliere quelli “responsabili”, quelli “veri”: i “pilastri dell’informazione”. Il tutto viene condito da una grande dose di allarmismo riguardo le false informazioni riguardo al COVID-19 che circolano sui social e che potrebbero nuocere gravemente alla salute.
Che le fake news siano pericolose per la salute è evidente a tutti, ma ancora una volta, grazie allo spauracchio delle bufale ed al timore per il coronavirus, i media mainstream possono svolgere un’opera di consolidamento della loro credibilità e della loro affidabilità agli occhi del pubblico. Possono, senza contraddittorio, estromettere tutti gli editori indipendenti dal dibattito pubblico, rendendo l’insieme dei quotidiani italiani un grande coro, che canta all’unisono: il coro del pensiero unico.
Lo spot si conclude con un invito per i telespettatori: “Scegli la serietà”, perché “Le notizie sono una cosa seria” e con una sorta di sfilata degli editori “certificati ed approvati”.
Figurano, oltre agli immancabili organi Mediaset, quotidiani come La Repubblica, Corriere della Sera, Avvenire e La Stampa. E no, non è uno scherzo.
Per La Repubblica intendono davvero il rotocalco liberal-globalista che nel mese di Gennaio 2018 ha pubblicato decine di articoli sulla Siria denunciando i presunti crimini commessi da Assad, ma basandosi esclusivamente su fake news diffuse dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. Poco dopo, si è scoperto che i crimini da loro denunciati erano stati, in realtà, commessi dai terroristi che loro chiamano “eroici ribelli contro la repressione governativa”.
Oppure intendono il giornaletto che per settimane ha letteralmente bombardato le opposizioni in seguito al caso dell’atleta di colore Daisy e dell’uovo lanciatole addosso, che le ha provocato danni alla vista. I “pilastri dell’informazione” hanno accusato la destra di aver alimentato l’odio che ha mosso la mano del lanciatore amatoriale di uova sui passanti. Peccato che, qualche settimana dopo, si è scoperto che il responsabile di tale deprecabile azione era in realtà il figlio di un consigliere del Partito Democratico.
Ma no, dai. Forse intendono il giornalucolo che, in un numero uscito qualche settimana fa, portava come titolo in prima pagina la scritta a cubitali “Cancellare Salvini”. Un comportamento molto democratico e coerente, quello di eliminare fisicamente il rappresentante dell’opposizione, soprattutto da parte di una redazione che vomita continuamente odio contro giornali semi-seri di destra per i loro titoli ironici e sopra le righe (due tra tutti, Libero e Il Giornale, di Feltri e Sallusti).
Basta, ho capito. Intendono il giornaluccio che quest’estate ha condotto un’inchiesta sulla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, in cui affermano che quest’ultima riceve 200 (sic!) insulti al giorno sui social (sic!) per la sua appartenenza alla comunità ebraica. Ebbene, dopo aver infangato a dovere le opposizioni, ancora una volta i fatti hanno sbugiardato gli autoproclamati giornalisti seri. Ebbene, partendo dal fatto che la Segre non ha profili social, anche supponendo che abbia potuto ricevere insulti su una piattaforma che lei non frequenta, l’Osservatorio antisemitismo ha pubblicato un rapporto che afferma che gli episodi antisemiti in Italia sono 197 all’ANNO, altro che 200 al GIORNO.
Tra l’altro, i “pilastri dell’informazione” hanno mai visitato la sezione commenti dei post delle pagine social dei politici più noti? Evidentemente no, perché questi ambienti sono infestati da troll, la cui unica utilità è quella di insultare, minacciare e, possibilmente, vantare la propria supposta (è il caso di dirlo) superiorità rispetto a chi, democraticamente, vota un partito di (simil-)destra. E lì, sì che si superano i 200 episodi di odio al giorno.
Ah già, ma loro non contano. Se lo meritano.
Stendiamo un velo pietoso su La Repubblica con una recentissima notizia che li vede protagonisti: qualche giorno dopo la liberazione dell’attivista Silvia Romano, i giornalisti seri hanno avuto il coraggio e, aggiungerei, il pessimo gusto di pubblicare un’intervista al portavoce del gruppo terroristico colpevole del sequestro. Ovviamente, l’obiettivo era quello di confermare la spontanea conversione della donna all’Islam ed il trattamento umano che avrebbe ricevuto. Ecco, anche quell’intervista si è rivelata una fake news completamente campata per aria e smentita perfino dagli jihadisti stessi.
La Stampa, giornale serio, fa parte dello stesso gruppo de La Repubblica, ovvero GEDI Editore, e di fatto ne è la fotocopia. Forse, peggio.
A inizio aprile, è stato al centro del dibattito politico per i suoi articoli contro gli aiuti russi all’Italia e contro la Russia stessa, che “minaccerebbero i nostri valori”.
È buffo vedere come per i giornalisti di sinistra i valori nazionali esistano solo quando fanno comodo, ma il vero problema è che, invece di ringraziare per gli aiuti che ci sono arrivati piuttosto dai russi che dai nostri cugini europei, insultano chi ci vuole dare una mano (qualsiasi sia la ragione che lo spinge).
Stavolta, però, l’hanno fatta grossa. L’arroganza e l’ingratitudine di questi figuri ha irritato (giustamente) non poco i diplomatici russi, che, mediante una nota ufficiale del portavoce del Ministero della Difesa, hanno sbugiardato tali giornalisti seri, che avevano addirittura definito “inutile” materiale come mascherine e ventilatori polmonari.
Concludiamo con Avvenire, il quotidiano della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), che fino a pochi anni fa pubblicava presunte foto dei “lager libici”, teatro di ogni sorta di atrocità. Certo, i centri di detenzione gestiti dal governo di Tripoli non sono villaggi Alpitour, ma i giornalisti seri volevano farli passare come dei campi di concentramento per immigrati, per poi scrivere articoli strappalacrime per sponsorizzare l’immigrazione di massa in Europa. Anche qui, le foto si sono rivelate vere, ma scattate non in Libia, ma in carceri NIGERIANE per criminali violenti.
Insomma, altro che “pilastri dell’informazione”. La stampa mainstream è quanto di più corrotto e fazioso esista. È per questo che bisogna iniziare a supportare progetti editoriali di nicchia, indipendenti, liberi e soprattutto oggettivi. Questi ultimi, costantemente messi in ombra dai giornaloni più famosi, hanno ora la possibilità e la forza di prosperare, brillare di luce propria e rompere l’oligopolio del giornalismo del pensiero unico.
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