Di Marco
Sarà capitato a molti durante una normale giornata di zapping davanti alla televisione di chiedersi come mai certe pubblicità, magari di una banalissima automobile, siano accostate a melodie epiche ed evocative, quasi più adatte ad accompagnare una schiera di cavalieri alla carica o una legione pronta alla battaglia piuttosto che lo spot di un SUV.
Questo accade perché chi studia marketing è al corrente di un grande pregio della musica, la sua carica emotiva sull’uomo, e lo usa per trarne un profitto. Ecco dunque che nel mondo moderno una macchina ultra-accessoriata può essere paragonata all’emozione di una squadra di avventurieri al galoppo grazie ad un accompagnamento melodico adatto.
La musica, di qualunque genere si tratti, può portare l’uomo ad arrabbiarsi o a calmarsi, a galvanizzarsi o a deprimersi a seconda del messaggio che si intende trasmettere, ed è proprio per questo che fin dai tempi più remoti dell’umanità essa ha assunto, accanto alla sfera emotiva, un’alta funzione pedagogica, educativa quindi.
Per comprendere questo concetto basti pensare agli antichi poemi omerici. Nonostante l’Iliade e l’Odissea siano opere scritte, non dobbiamo dimenticare che risalgono ad una lunga tradizione di storie orali di cui abbiamo testimonianza fin dall’antica civiltà degli Achei. È l’Odissea stessa infatti a raccontarci di come già ai tempi di Ulisse, nella corte di Alcinoo signore dei Feaci, l’aedo dilettasse gli ospiti del suo sovrano cantando imprese eroiche e suonando la “nobile cetra”.
Se da una parte i cantori commuovevano con la propria musica i nobili guerrieri fin dai tempi della leggendaria guerra di Troia, dall’altra essi erano anche gli educatori di questi stessi guerrieri e dei loro figli. Cantare l’ira di Achille significava anche mettere in guardia chi ascoltava dalla troppa superbia o narrare dell’incontro sul campo di battaglia tra Apollo e Diomede, diffidava al contempo gli uomini a non ergersi a sfidare gli Dèi, per non parlare della tragica ma giusta fine dei proci per mano del possente Ulisse che ripristinava così pace e giustizia nella propria casa prima ancora che nel proprio regno.
Ecco che il pubblico degli antichi aedi traeva da quei canti una grande emozione ma al tempo stesso anche dei giusti insegnamenti.
La funzione educativa della musica era ben nota anche a Platone che, nella Repubblica, afferma l’importanza di una “[…] educazione spirituale e fisica” dei Guardiani della Polis ideale, il cui presidio “[…] va fondato qui, sulla musica“. È proprio Platone quindi a fare della musica una vera e propria materia di stato su cui vigilare affinché questa non possa degenerare nelle innovazioni portando i giovani ad essere traviati dal giusto.
Nella Repubblica la musica viene definita come educazione dello spirito da affiancare quindi ad un’educazione fisica, ed in effetti chi pratica o uno sport o esegue degli allenamenti costanti sa bene come una buona musica motivazionale possa influire sulla qualità dell’allenamento, dando la carica ad un atleta per uno sforzo maggiore, per superare i propri limiti e spingersi oltre. In questo caso dunque la musica ispira, ma allo stesso tempo insegna che i limiti che il nostro intelletto ha fissato non sono necessariamente gli stessi che può raggiungere il nostro corpo, macchina grezza da perfezionare con l’allenamento. Viene da sé che la musica educa anche in guerra: prima di uno scontro il guerriero fischietta una melodia per calmare i nervi, durante una marcia egli canta a squarciagola coi compagni per non sentire la fatica delle gambe. Sulle note di un grande tamburo di una galea romana o di una trombetta garibaldina nei campi di Sicilia, la musica è sempre stata al fianco dei soldati non meno che dei poeti.
Piccoli guerrieri e prosecutori dei valori di Roma dovevano essere anche i balilla dell’Italia Fascista, ed ecco quindi che ritroviamo la musica e la sua funzione pedagogica nel ‘900 per mezzo delle adunate scolastiche al suono di tromba al momento dell’alzabandiera, dove i bambini e i ragazzi cantavano l’inno del Paese e cominciavano ad assimilarne i valori intrinsechi, per poi meglio comprenderli con lo studio delle regolari lezioni e con l’allenamento fisico dei campi estivi e delle colonie, sempre accompagnato da musica e canti come già Platone raccomandava secoli prima.
Ad oggi invece la funzione educativa della musica è per lo più ignorata dai governi, che hanno improntato un modello scolastico quasi totalmente materialista e improntato al mondo del lavoro, andando a togliere sempre più importanza alla formazione classica tanto cara a personaggi del calibro di Giovanni Gentile. Ad oggi l’educazione musicale è limitata alle sole scuole medie ed è lasciata completamente allo sbando dal Ministero pertinente il quale lascia una pressoché totale libertà ai professori di gestire il programma. Pertanto, in alcune scuole si familiarizza con più strumenti mentre in altre solo con il flauto dolce, e in alcune addirittura la materia si limita e riduce ad una banale storia della musica senza alcuna pratica.
Un errore madornale sottovalutare l’insegnamento di una disciplina che un gigante della filosofia come Platone riteneva parte fondamentale dell’educazione giovanile, ma entra nell’ottica della totale mercificazione in cui è piombata, tra le altre cose, anche la musica.
Oggi, senza voler addentrarsi in sterili polemiche populiste, appare chiaro che l’unica cosa che conta all’interno del mondo musicale sono i guadagni, e che la funzione educativa della musica è andata a perdersi nella discrezione di qualche artista particolarmente illuminato.
È giusto che sia l’artista a stabilire il messaggio da trasmettere nella propria opera, su questo non ci piove, ma se torniamo a riscoprire il pensiero degli antichi viene da chiedersi: chi annulla questa funzione educativa insita nella natura stessa della musica è degno veramente di chiamarsi artista?
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