Di Giulia
“Quanto ci è costato?”
“Non poteva stare a casa sua?”
“Sarà vero o no che si è convertita all’Islam?”
A chi in questi giorni ha martellato i social con queste domande banali, inutili e fuori luogo, forse non è ben chiara una cosa. Che siate d’accordo o no, che avreste fatto lo stesso o meno, Silvia Romano in Africa ci è andata per aiutare. Per “aiutarli a casa loro“, appunto.
Ha lasciato il suo Paese consapevole dei rischi che correva, e perché? Perché voleva fare la sua parte e concretizzare le proprie idee, farle diventare azioni.
Non ha protestato contro il cambiamento climatico con un cartello arcobaleno di dubbio gusto, non ha fatto il gruppo uozzapp per fare la rivoluzione, è andata in Africa a rischiare la vita per portare avanti un progetto che rendesse tangibili le sue basi ideologiche, e per questa sua scelta non si merita gli insulti di nessuno.
Non quelli di chi si ferma alle chiacchiere e non passa mai ai fatti, sicuramente.
A maggior ragione, però, stonano anche i commenti beceri di chi – da un’altra parte del mondo, per un’idea diversa, dietro una barricata ben differente – condivide con Silvia la filosofia della prima linea e dell’azione concreta.
Beninteso, tra dire che un volontario in missione all’estero merita rispetto ed approvare il modus operandi delle ONG attive in Africa e Medio Oriente ne corre di strada. Sicuramente per fermare i flussi migratori e per portare un effettivo miglioramento delle condizioni di vita in quei paesi servono interventi risolutivi ben diversi, concordati a livello internazionale. Bisognerebbe proporre modelli di sviluppo, bisognerebbe mettere un limite agli interessi delle multinazionali, bisognerebbe smettere di bombardare la Siria quando la politica interna americana va in crisi, bisognerebbe permettergli di affrancarsi dall’egemonia monetaria francese. Eh già, nel mondo delle favole.
E qui ovviamente sottintendo un “noi” Occidente (non senza l’influenza di Cina e Russia, che controllando le risorse minerarie rare hanno di fatto una rilevanza fondamentale) anzi forse un “noi” USA, Francia, Unione Europea che ci riguarda poco, ma se l’Italia fosse a sua volta meno vincolata in politica estera, potrebbe guadagnarsi un ruolo significativo nella graduale risoluzione del problema migratorio.
È scontato, quindi, che quello che un singolo può fare in una simile situazione sia ben poco, ed è superfluo dire che ci sono situazioni di emergenza e modi per rendersi utili anche in Italia. Certo è che ormai il danno è fatto e, davanti alla libera scelta di una ragazza che ha subito un anno e mezzo di prigionia, non possono non sembrare di cattivo gusto i commenti politici che dicono che “poteva anche stare a casa sua“, specie se vengono dai presunti paladini dei valori del cristianesimo, che evidentemente non sono molto ferrati in materia di altruismo e solidarietà.
Chi poi sostiene che avremmo dovuto lasciarla lì perché se l’è cercata, forse ha dimenticato che qualche anno fa si diceva letteralmente lo stesso dei marò in India. Sarebbe stupido, in questo caso, fare due pesi e due misure. Che lo voglia o no Silvia è italiana, come Latorre e Girone, come Giulio Regeni. Lo Stato dovrebbe avere le capacità e l’autorità per proteggere tutti i suoi figli, anche all’estero.
Il problema, piuttosto, è che abbiamo dimostrato di non avere nessuno dei due, scendendo ad un compromesso vile con dei terroristi, che ora hanno 4.000.000 di euro in più per comprare armi e portare guerra e devastazione.
Dati alla mano, sembra che sarebbe stato molto più costoso e rischioso tentare di riprenderla con la forza, però se fossimo riusciti a tenergli testa avremmo almeno evitato di finanziarli, oltre che di uscire moralmente sconfitti anche da questa vicenda.
Se vivessimo una società rispettabile, dove chi si occupa dell’informazione ha una reputazione e libertà di parola non significa diritto di starnazzare in nome del profitto e dell’oscurantismo, con la corrente situazione socio-economica dell’Italia, i giornalisti (ed i lettori) avrebbero se non altro il buon gusto di non prodigarsi in sproloqui sui fatti personali della Romano. Perché se la sua conversione sia autentica o meno, se sia giusto o sbagliato, sorpresa! Non sono assolutamente fatti nostri. Non ci possiamo arrogare il diritto di entrare nella sua vita privata e spirituale, soprattutto alla luce di cosa potrebbe aver passato questa donna negli ultimi mesi.
“La conversione all’Islam è stata una mia scelta, non ho ricevuto alcuna pressione” dice, ma non sta a noi indagare la natura di tale conversione, pur tenendo presente che imporre la religione islamica ai prigionieri infedeli – cosa che il Corano formalmente vieta – è comunque una prassi. Professare qualunque culto lei voglia è un suo pieno diritto, ma prima di sbandierare allegramente la sua conversione in nome dell’apertura mentale e della lotta agli stereotipi, forse sarebbe bene riflettere sul fatto che è venuta in contatto con l’Islam fondamentalista di una banda di terroristi, e non con la religione pacifica osservata da 1.6 miliardi di fedeli in tutto il mondo.
“Non mi hanno mai picchiato, non hanno mai esercitato su di me violenza fisica, sessuale o psicologica. Anzi mi rassicuravano continuamente sul fatto che prima o poi sarei stata liberata. Non mi hanno mai incatenato o tenuta legata” dice.
Forse è vero, o più probabilmente è ciò che i servizi segreti italiani le hanno raccomandato di dire, per la sua sicurezza, dopotutto ci sono precedenti in tal senso. C’è la possibilità che facesse parte dell’accordo con i rapitori. Non va esclusa neanche la probabilità che si tratti della cosiddetta sindrome di Stoccolma, presunta (non universalmente riconosciuta in psichiatria) forma di reazione ad un trauma, che porta un prigioniero a provare gratitudine ed affetto verso il suo aguzzino.
Silvia ora si fa chiamare Aisha, così titola Libero, definendola “ingrata“. Rinnegare il proprio nome, la propria religione, voltare le spalle alla sua Nazione, rinunciare al proprio status di donna libera per abbracciare una mentalità che di certo non è progressista in materia di diritti. Sembra una notizia costruita a tavolino per suscitare la rabbia dei più. Così poi da poter fare articoli in cui si parla di quanto è retrogrado l’italiano medio. Ancora una volta abbiamo visto all’opera la violenza dei media, che hanno violato la sfera personale di una vittima per estorcerle un prodotto vendibile, cavalcando l’onda del pubblico sdegno.
Che cos’è per loro questa vita che ci è costata così tanto? Un’arma di distrazione di massa, un titolo clickbait per catturare l’attenzione. Una valvola di sfogo per la rabbia, per le preoccupazioni di chi è a casa da mesi senza stipendio né aiuti statali. Sicuri che il vero oggetto del vostro odio, della vostra rabbia, sia Silvia Romano?
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