La quarantena e la solitudine forzata possono darci l’occasione per farci delle domande e per stare un po’ in compagnia dei nostri pensieri, e perché no, spingerci verso quelle frontiere esistenziali che ogni giorno, per impegni quotidiani o distrazioni varie, facciamo fatica ad esplorare.
Tuttavia, per ogni quesito profondo a cui ci sottoponiamo, abbiamo bisogno di una guida, o meglio della sua saggezza per ottenere gli strumenti con i quali risolvere da soli le nostre problematiche interiori. Se ci pensiamo bene, fin da piccoli sentiamo la necessità di qualcosa o qualcuno che ci spieghi quale sia il modo giusto di comportarci, cosa siano il bene e il male e che morale trarre dalle storie che ci vengono narrate.
E come spesso accade per i grandi autori di quei libri destinati a diventare leggendari, anche Tolkien, con il suo manufatto più famoso, Il Signore degli Anelli, ha la capacità di veicolare una trasmissione valoriale che dura nel tempo e trascende i periodi storici, come solo le epopee classiche sanno fare.
È per questo che anche oggi ha senso ricordare il rapporto dei personaggi e come interagiscono e cosa ciò che ci spinge ad essere, perché questo romanzo, secondo molti letterati che ancora oggi studiano quest’ opera, è una sorta di metafora dell’uomo e della sua eterna battaglia tra il bene e il male, immutati nel tempo.
Essi non intesi come giusto e sbagliato (in quanto concetti relativi), ma nel senso più puro e naturale, di ciò che ci riconduce ai valori essenziali dell’uomo, la ricerca del bene come percorso da intraprendere, in ogni sua sfaccettatura e difficoltà. Un percorso quotidiano fatto di scelte, anche nelle piccole cose, che determinano chi scegliamo di essere e dividono il dubbio dalla risoluzione.
La nostra guida in questo racconto si incarna nel saggio stregone Gandalf
e nelle frasi dal significato lapidario e immortale che rivolge ai vari
personaggi, mai presentando soluzioni rapide ma solo opportunità di
riflessione.
“Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato”.
Proprio nelle sue parole infatti si cela il significato di un’idea e il suo
potere, questo è chiaro quando si legge Tolkien. Ma è proprio sulla dicotomia
bene – male che il romanzo ci lascia la sua più grande lezione e cioè che
le due parti non sono relative, sono anzi definizioni assolute. Sì, perché siamo
noi a scegliere se dedicarci all’uno o all’altro, con le nostre piccole azioni
quotidiane che, come dice Gandalf, sono le più grandi e significative e hanno
conseguenze che nemmeno i più saggi possono vedere.
Crediamo di
vivere in un’epoca in cui le opere più minute perdono ogni valore in un sistema
più grande e spaventoso come il mondo di oggi, eppure la soluzione Tolkeniana è
proprio questa, una compagnia che unitasi può portare a termine un’impresa
immensa, passo dopo passo, se vincolata da un obiettivo puro e da un ideale
immacolato. Quindi sta a noi esercitare la nostra capacità di riconoscere
ogni forma del male e combatterlo, sapendo comunque di non essere infallibili.
“Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?”.
“Come ha sempre fatto”, disse Aragorn.
“Il bene
e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo
per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli,
tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora”.
In conclusione, secondo Tolkien, il male e le sue lusinghe lo fanno sembrare la
via più ovvia e semplice, poco complicata, appunto per la propria natura,
parodistica rispetto al bene ed incapace di costruire. Ma il fine non sempre giustifica
i mezzi perché il male è una via che non ammette compromessi e porta
solo alla distruzione. Molte volte chi accusa gli altri di essere dediti all’odio
e in nome di questo sente la giustificazione di perseguitarli, o di percepire
un senso di superiorità, ha smarrito la via della ragione e maschera il proprio
risentimento come un’opera benefica.
La soluzione
al male è la coesione, che crea e
non distrugge, idealizza e non mistifica, che unisce i personaggi che la caratterizzano
semplicemente con l’amore per un obiettivo comune. Che richiede impegno,
tempo ed amore e ha come scopo quel bene assoluto, forte e solido come i
bastioni di un castello.
“Il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei
quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare
a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. Ma il tempo che
avranno non dipende da noi”.
Per questo bisogna anche essere pronti alla lotta per rivendicare i nostri ideali e la vita a volte lo richiede, come anche Tolkien imparò sulla propria pelle (combatté in prima persona nella Prima guerra mondiale). D’altronde è proprio nel combattimento che dimostriamo, a noi stessi in primis, la forza dei nostri valori e la nostra preparazione alle sfide che essi ci impongono.
Ma tutto questo non sarebbe possibile senza un fattore fondamentale, la speranza. Questa, secondo lo scrittore, non è un sentimento puerile e deresponsabilizzante, cieco rispetto alla situazione e alle necessità ma un sentimento tangibile nel rapporto con un’altra persona o con un gruppo di compagni d’arme. Non c’è speranza di vittoria da soli o senza la presenza di un pensiero rivolto a persone care. Quindi non ci viene chiesto di buttarci anima e corpo in una battaglia persa in partenza ma viceversa, di credere fermamente nelle persone che abbiamo a fianco, di cercare la realizzazione del nostro scopo comune e di essere pronti al sacrificio per loro.
Ecco che allora si risolve nella visione di Tolkien quella morale che esorta a cercare nelle grandi leggende e nelle fiabe, che lui vede come appartenenti ad una sola grande Creazione, una sorta di conforto permanente reverenziale, che ci illumina la via e ci guida, come Gandalf con la compagnia incaricata di distruggere l’anello. Che ci incarica di essere uomini retti e di scegliere di esserlo, perché il bene deve vincere sempre.
“La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo: la città degli uomini di Númenor; e desidero che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredità di saggezza…“.
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