Di Sergio

Sono passati esattamente trent’anni dal 9 novembre 1989. Una data storica che secondo molti sancisce la cesura netta tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. Una data che nonostante il tempo passato ancora suscita pareri ed opinioni discordi. Parliamo del fatidico crollo del muro di Berlino, ovvero quella barriera “fisica” che per decenni, dal 1961, divise in due la capitale tedesca rappresentando per intere generazioni il confine visibile tra i due grandi poli egemoni: quello del Patto di Varsavia guidato dall’Unione Sovietica e quello del Patto Atlantico guidato dagli Stati Uniti d’America. Non è nostro interesse ora dissertare sulla Guerra Fredda, sulla minaccia atomica e sugli interventi in Corea, Vietnam e chi più ne ha più ne metta. Non ci interessano nemmeno le storie di spionaggio 007, le strategie della tensione, i colpi di mano e nemmeno tutto il corollario di contraddizioni che questo conflitto, ora palese ora sotterraneo, si è portato dietro nel corso dei decenni. Vogliamo chiederci, semplicemente, se qualcuno dal 1989 si sente più libero o meno. Il crollo della cortina di ferro è stata una liberazione oppure un secondo giro di filo spinato intorno all’Europa e al Mondo?

Buoni e cattivi?

Intere generazioni sono cresciute credendo alla divisione tra bene e male, ad una contrapposizione che non lasciava scampo a dubbi: o noi, o loro. Parliamo del confronto/scontro tra il mondo Capitalista e quello Comunista, il padrone e l’operaio. I nemici per antonomasia, le due visioni del mondo che si sono combattute attraverso il novecento in uno scontro finale che non poteva trovare altra soluzione se non nella disfatta totale dell’uno o dell’altro. È stata più o meno questa la narrazione che fu fatta, da una parte e dall’altra, per giustificare lo stato permanente di stallo che ha contraddistinto la Guerra Fredda. Ma siamo sicuri che questa narrazione sia confacente alla realtà? E se l’ideologia comunista e quella liberale, non fossero così distanti come è solito credere?

L’ideologia liberale, nonostante la diversità delle sue espressioni, si basa fondamentalmente su di una visione “astorica” dell’uomo, quale individuo razionale ed autosufficiente in quanto dotato di ragione e libero per diritto naturale. Questo stato di libertà individuale originaria ed innata dell’uomo (che in questa visione si esprime soprattutto nella libertà di iniziativa economica), se non alterato da istituzioni “oscurantiste” (es. Stato e Chiesa) che ne ostacolino le manifestazioni, condurrebbe con un procedimento meccanicistico alla realizzazione di una società “perfetta”, intesa come l’autogoverno degli individui liberi ed uguali. Così la storia diverrebbe solo un orizzonte vuoto, solo un processo temporale in cui progressivamente si verrebbe ad instaurare una società in cui regna una libertà economica selvaggia che finisce per annullare i diritti politici dei cittadini.

L’ideologia marxista, pur essendo sorta in contrapposizione alle strutture economiche della società liberale, condivide ed afferma tutti i postulati economici delle dottrine liberiste e la stessa visione progressiva della storia. Contesta semmai gli effetti, come per esempio la stratificazione della società in classi sociali che si realizza in funzione dell’appropriazione dei mezzi di produzione. Si profetizza quindi la conquista del potere da parte del proletariato e l’avvento futuro del comunismo. Nella società comunista regnerebbero l’uguaglianza assoluta e la libertà dell’intera collettività umana. Con l’avvento della società comunista si determinerebbe infine la scomparsa della storia stessa, perché con il comunismo tutte le finalità umane avrebbero il loro definitivo compimento.

Come si può vedere, le affinità prevalgono sulle differenze: l’economia, la ragione, sono entità estranee alla volontà dell’individuo e alle sue concrete necessità, ma che rendono la persona umana oggetto e strumento dei processi deterministici della storia. Il risultato è l’uomo oggetto, il numero che diviene materiale da sperimentazione per la costruzione di modelli di società astratta ed utopici, concepiti sempre come mete ultime per la “fine della storia”. Tutto questo vi ricorda qualcosa?

Se fino ad ora, vi sono venute in mente Open Society, LGBT, Nike e CocaCola, precariato e delocalizzazione, censura e politicamente corretto, avete afferrato quello che in realtà rappresenta il 9 novembre 1989: la saldatura più o meno volontaria delle due facce di una stessa medaglia. Tra capitalismo e comunismo non vi fu mai scontro frontale. Essi possono sembrare modelli antitetici, ma in realtà per assurgere a potenze mondiali l’uno ha avuto necessità dell’altro. Il comunismo ogni volta che ha conquistato il potere ha perso la sua carica rivoluzionaria degenerando in burocrazia, brutale dittatura, stagnazione economica. Il capitalismo dopo il crollo dell’U.R.S.S ha mostrato il suo vero ed unico volto, imponendo a tutto il mondo un’economia finanziaria che distrugge quella produttiva generando disoccupazione, precariato, sfruttamento, ingiustizia sociale, oligarchia finanziaria. Il muro crolla perché non è più necessario: l’apparente alternativa al mondo liberale cede per far dilagare, finalmente, una globalizzazione incontrollata che si muove con gli strumenti del capitale e le idee del “Sol dell’avvenire”. Il capitalismo non ha sconfitto il comunismo, semmai si è sostituito ad esso nelle sue realizzazioni pratiche di dominio mondialista.

Ecco allora che si riduce progressivamente la presenza dello Stato (vedi odierno caso ILVA), perché ostacola l’espansione del processo di globalizzazione. Ecco il liberismo selvaggio e la sinistra cosmopolita che sradicano quei valori “oscurantisti” come sesso, razza, religione, identità, tradizione. Ecco la censura e il controllo su modello STASI-KGB, ecco la dittatura del politicamente corretto del “non ci sono delitti in paradiso” di Staliniana memoria.  Ecco quei diritti sociali come lavoro, sanità, istruzione, previdenza e assistenza sociale che vengono progressivamente eliminati perché incompatibili con la massimizzazione del profitto e il diktat malthusiano sulla carenza delle risorse. Ecco il popolo, non più partecipe della sovranità nazionale, avere il solo ruolo di consumatore. Dal 1989, il 2019 è servito.

La poesia del XX secolo

Sapete perché è sorto il muro di Berlino? Forse noi si, ma qualcuno deve aver dimenticato che la cortina di ferro è sorta sulle ceneri dell’Europa Fascista. Quando, prima del 1989, Comunismo e Capitalismo hanno eseguito le prove generali di saldatura? Esattamente nel momento di massima minaccia alla loro stessa esistenza, quando dal vecchio continente sorse la vera ed unica posizione “altra” del novecento: l’idea rivoluzionaria del Fascismo. Un’idea incentrata sulla partecipazione diretta ed attiva dei cittadini alla vita dello Stato, quello Corporativo, basato sulla collaborazione e la concordia tra i corpi sociali intesi non come classi separate, ma come una comunità organica, partecipe ai fini dello Stato e al destino della Nazione. È vero, gli avvenimenti del XX secolo possono essere letti nell’ottica di un irriducibile confronto-scontro tra due opposte concezioni dell’uomo: l’una volontaristica, eroica, spirituale ed organica (il Fascismo) e l’altra determinista, materialista ed economicista (liberalismo e marxismo), quest’ultima meglio identificabile con la parola “antifascismo”. Roma cade con l’occupazione anglo-americana, Berlino cade con l’occupazione sovietica, il Giappone viene sotterrato dalle due uniche vere armi atomiche mai impiegate nella storia dell’umanità. L’antifascismo ha bisogno di occupare ogni singola città, fino all’ultima via, fucilare fino all’ultimo uomo, imprigionare tutti (poeti e premi nobel compresi), tanto è stato il terrore provato nell’assistere alla “poesia del XX secolo”. Nello scontro mortale, la sconfitta del Fascismo ebbe come conseguenze la fine della supremazia europea e l’uscita di quest’ultima dalla storia.

È per questo che è massimamente importante il 9 novembre del 1989. Perché quel giorno la storia ci ha dato ragione, come aveva profetizzato Benito Mussolini al discorso del Lirico di Milano. Perché quel giorno si è reso palese ciò che Berto Ricci aveva soltanto intuito, ovvero il bluff sovietico: quando addirittura nel 1927 aveva affermato con forza che come italiani non potevamo “sentirci più vicini a Londra conservatrice, a Parigi democratica e conservatrice, che a Mosca comunista”. Attenzione, non per un’ideale asse Roma-Mosca, ma bensì per la necessità che la Rivoluzione Fascista superasse per carica Rivoluzionaria quella Bolscevica, pena la vittoria di quest’ultima. Aveva capito che non a Mosca dovevano volgersi le attenzioni dell’offensiva della rivoluzione fascista, ma bensì ad Occidente e al grande capitale americano delle banche: “L’Antiroma c’è ma non è Mosca. Contro Roma, città dell’anima, sta Chicago, capitale del maiale”. Un monito più attuale che mai. Oggi possiamo guardare con simpatia al crollo del muro di Berlino non solo perché il nome riportava la dizione ufficiale di “Antifaschistischer Schutzwall, ossia barriera di protezione antifascista (nel pieno stile no pasaran, e invece…), ma anche perché finalmente Germania ed Europa si liberano dalla divisione artificiale imposta dai vincitori a Yalta e anche da un peso. Uno solo però, l’altro più forte che mai è ancora lì che grava sulle nostre teste e ha molte più facce e capitali di prima. Non potremo festeggiare fino a quando anche il secondo muro non sarà crollato: un muro non fisico e non visibile, quindi più subdolo, è quello rappresentato da un nome inglese più elegante di antifaschistischer schutzwall, un nome che è una via newyorkese e si chiama Wall Street.