Di Sergio
Rotta verso Lampedusa. La nave “Sea Watch 3”, alle 14.00 di mercoledì rompe gli indugi e dirige il timone verso le acque territoriali italiane con il dichiarato intento di sbarcare i 42 migranti prelevati al largo delle coste Libiche, violando così quel fantomatico “blocco” del Governo Italiano sulle navi delle ONG. Un blocco fittizio in effetti, alzato solo a parole ed “alt”. Al largo di Lampedusa, nonostante la prosa epica che i media mainstream e la sinistra hanno adottato subito nei confronti della “capitanA coraggiosa”, non c’era proprio nessuno ad impedire fisicamente il suo arrivo. Insomma, non una gran prova di coraggio. Piuttosto l’evidente certezza che nessuno sarebbe veramente intervenuto.
Pirata o impiegato?
Sgombriamo il campo da qualsiasi dubbio: noi non siamo quelli che chiamano la polizia. Non siamo i “fun” di sgomberi, sequestri ed arresti. La prigione non la auguriamo a nessuno, nemmeno alla Sea Watch. Apparteniamo ad un’altra categoria. È per questo che ci sentiamo di affermare che Carola Rackete non è un pirata. Non è un’eroina, non è un cavaliere crociato, non è l’Arcangelo Michele impegnato nella battaglia escatologica contro il drago-Salvini. Il capitano della Sea Watch 3 è semplicemente un impiegato che sta assolvendo ai termini del suo contratto. Quanto di più distante ci sia dall’eroismo, dall’azione disinteressata ed impersonale. Cosa vi aspettavate? La nave della ONG ha già percorso più di 1400 miglia nautiche nel suo zig-zag intorno ai confini delle acque territoriali. Significa non solo che a quest’ora potevano trovarsi a Gibilterra, ma che da più di quattordici giorni era già scritto l’epilogo di questa vicenda. La nave, il capitano donna, i parlamentari del Partito Democratico che corrono a Lampedusa. Un copione già recitato che porterà in scena l’ennesimo tentativo di incriminare il Ministro degli Interni Matteo Salvini per rapimento e mettere in crisi un governo traballante. In effetti non è stato nemmeno un salvataggio, quello che la Sea Watch ha effettuato: il 12 giugno, appena giunta in acque di competenza della Guardia Costiera libica, la Sea Watch ha ricevuto una segnalazione dall’aereo da pattugliamento “Colibrì” di Pilotes Volontaires, in merito ad un gommone casualmente prossimo alla sua posizione. Disattivato il transponder, la nave fa rotta verso le coordinate suggerite e, senza nemmeno informare il Centro di Coordinamento di Tripoli, trasborda i migranti. La Guardia Costiera libica, che nel frattempo aveva assunto il coordinamento dell’operazione di salvataggio come da diritto internazionale, arriva sul posto e trova il gommone già vuoto, nonostante fosse ancora galleggiante, con motore funzionante e con diverse taniche di carburante a bordo.
Non ci troviamo di fronte ad un atto di eroismo, tantomeno di pirateria. Qui stiamo trattando di mercanti, di negrieri, che lucrano su una specifica tratta di esseri umani con piani tutt’altro che improvvisati. Evitiamo di sporcare la memoria del vessillo nero della pirateria con l’infamia di equipaggi stipendiati il cui unico scopo è il puro e semplice guadagno. I pirati erano uomini liberi, loro no. Ma, come dicevamo, la prigione non si augura a nessuno. Infatti in uno Stato secondo giustizia (non secondo legalità), la Sea Watch e tutto il suo equipaggio sarebbero già finiti a fare compagnia in fondo al mare alla “Wien”, alla “Santo Stefano”, alla “Valiant” e alla “Queen Elizabeth”. Siamo consapevoli che la Sea Watch e il suo equipaggio non valgono un acca delle corazzate da guerra di due dei più grandi imperi della storia, ma vale la pena ricordare qual’è il prezzo della superbia e della tracotanza che (per usare le parole di Eschilo) “fiorisce, e poi dà come frutto spighe di rovina, da cui si raccoglie messe di pianto”.
Vate o ministro?
Se Carola Rackete non è un pirata, Matteo Salvini non è il Duce. Leviamocelo dalla testa. Chi crede che Matteo Salvini lo sia è caduto in un grosso equivoco, montato a tavolino dai media nazionali ed internazionali per screditarlo. Mossa su cui lui ha saputo giocare e che ovviamente gli ha dato più forza, è evidente, ma non per questo lo rende veramente Vate di una nuova Italia che riprende la sua missione imperiale nel Mediterraneo e nel Mondo. In realtà anche lui, è solo il ministro di un governo mediocre. Basta osservare i fatti: per la seconda volta in pochi mesi la Sea Watch 3 mette alla berlina il “governo del cambiamento” e impone all’Italia la sua agenda (che poi è l’agenda della Open Society). L’attenzione che dovrebbe essere centrata sulla scuola, sul lavoro, sulla salute e, soprattutto, sulla maxi inchiesta che sta travolgendo il mondo della magistratura, è invece spostata sul campo dell’immigrazione e i migranti, che intanto hanno ripreso a sbarcare sfruttando il clima di caos a Lampedusa. Può una piccola nave tenere in scacco una Nazione? Evidentemente si, almeno fino a quando questo Governo lascerà correre.
Salvini se la prende a parole contro Carola, ma quello in effetti lo possiamo fare tutti, il suo sembra più uno sfogo che una risposta netta ad un atto ostile. “Sei bianca e ricca, stai in Germania a fare volontariato”. Parole dure… Se poi ci aggiungiamo che il caso Sea Watch sarà affidato a quella stessa magistratura che ha intentato la sfiducia a Salvini attraverso l’accusa di rapimento e che ha dissequestrato la nave facendola salpare nuovamente, si profila un nuovo nulla di fatto. E in Europa? Nemmeno a dirlo. La Lega sta governando con un partito, il Movimento 5 Stelle, che proprio due giorni fa ha chiesto di aderire al gruppo della Sinistra Radicale (Gue) al Parlamento Europeo. Nonostante il rifiuto di questi ultimi, proprio per la relazione di alleanza tra il M5S e Lega, è ormai chiaro e limpido lo spostamento dei grillini verso l’elettorato di sinistra. Che credibilità ha questo governo? Quale forza ha di proiettare nel mondo una volontà ferrea? La risposta, purtroppo, è nessuna.
Fa bene ricordare, dato che il Fascismo e Mussolini sono ormai entrati da tempo nel dibattito politico come insulto e sproloquio, quale fosse la prassi e la volontà dell’Italia negli anni del suo governo. È da buon esempio ciò che successe durante la poco nota “Crisi di Corfù”: una crisi innescata dall’uccisione dei membri di una missione militare italiana in territorio greco, impegnata in un operazione internazionale di monitoraggio dei confini greco-albanesi (a quel tempo oggetto di contenzioso), episodio altrimenti noto come “eccidio di Giannina”. Il 27 agosto 1923, a Zepi nei pressi del confine greco-albanese venne trucidata una delegazione militare italiana guidata dal Generale Enrico Tellini. Insieme a lui furono assassinati a colpi d’arma da fuoco altri quattro uomini della sua scorta tra cui un interprete epirota. Il primo governo Mussolini, a meno di un anno dal suo insediamento (1922), inviò un ultimatum al Governo greco pretendendo da esso, oltre alle scuse formali, l’istituzione di una commissione d’inchiesta che individuasse i colpevoli, la pena capitale per questi ultimi, un risarcimento economico di 50 milioni di lire e che la flotta greca rendesse gli onori alla bandiera italiana con un’apposita cerimonia. La proposta venne accolta dal Governo greco solo in parte e Mussolini replicò schierando immediatamente nel Mar Ionio una squadra navale composta dalle corazzate “Andrea Doria”, “Giulio Cesare”, “Caio Duilio” e “Conte di Cavour”. L’Italia, quindi, occupò militaremente l’isola di Corfù senza colpo ferire.
Nonostante l’intromissione della Gran Bretagna, che schierò immediatamente la Royal Navy nel Mediterraneo paventando l’estromissione del’Italia dalla Società delle Nazioni, l’atto di forza (seppur ridimensionato dal suo obiettivo a causa delle pressioni interne al governo) ebbe ragione. Il 27 settembre Corfù fu evacuata dalle truppe italiane dopo che la Conferenza degli Ambasciatori ebbe riconosciuto come legittime le richieste dell’Italia alla Grecia. Il Governo greco dovette, quindi, accettare di pagare i 50 milioni richiesti e di tributare gli onori alla bandiera italiana che la squadra navale ricevette al Falero, uno dei porti di Atene, per far poi definitivamente ritorno a Taranto il 30 settembre 1923.
Bisogna essere all’altezza di ciò che si dice. Fare dirette facebook in cui si ripete come un disco rotto “me ne frego”, “molti nemici molto onore” non fa di te il Duce. Come non si è Fascisti se si indossa il fez e ancora meno si è Comunisti con la maglia di Che Guevara. Una crisi come quella scatenata dall’immigrazione e dalle ONG non si risolverà con un semplice alt, non si fermerà con i paroloni roboanti o invocando trattati che nessuno rispetta. Si pone davanti all’Italia un nodo gordiano da cui non si può uscire se non attraverso il filo tagliente di una spada. Forse la Sea Watch sarà sequestrata, o forse no. Carola sarà incriminata, o forse no. Il suo arresto di questa mattina non cambia il risultato: oggi è la Sea Watch, domani ci sarà un’altra nave con un altro capitano pronto a ripetere questo stesso copione. Quando la faremo finita con la tratta di esseri umani? Quando si interverrà veramente per bloccare l’immigrazione lì dove ha origine? Quando si andranno a colpire i grossi capitali che si muovono dietro le organizzazioni non governative? Quando si affermerà il sacrosanto diritto alla terra, al radicamento e al NON emigrare? Insomma, quando si smetterà di “reagire” all’immigrazione e si passerà a “rivoluzionare” l’immigrazione?
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