Di Chiara

Tra la crisi in Ucraina, segnata dalle ingerenze “cobelligeranti” di Stati Uniti e Russia, e il conflitto in Siria, dove il caos e l’eccidio degli Alawiti è alimentato dai soliti jihadisti (diventati magicamente “moderati” per l’Occidente), uno scenario cruciale di politica estera rischia di passare inosservato: la Serbia, da sempre perno e centro dei destini balcanici (e non).

La Serbia si agita

Negli ultimi mesi, il paese è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno portato all’attenzione pubblica una crescente insoddisfazione nei confronti delle istituzioni, sollevando interrogativi sul futuro politico e sulla stabilità interna della nazione. Le proteste in Serbia sono esplose inizialmente come reazione a un grave incidente avvenuto il 1° novembre 2024, quando il crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad ha causato la morte di 16 persone. Questo evento ha scatenato l’indignazione popolare, soprattutto tra i giovani, trasformandosi rapidamente in un movimento di più ampio respiro che ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini nelle principali città serbe. Al centro della mobilitazione ci sono richieste di maggiore trasparenza e responsabilità da parte del governo, accusato da molti manifestanti di corruzione diffusa, incompetenza e autoritarismo. Il presidente Aleksandar Vučić, al potere dal 2012, è stato oggetto di critiche sempre più aspre, con accuse di controllo eccessivo dei media, limitazione delle libertà democratiche e repressione dell’opposizione. Ma non è solo il quadro dei diritti “democratici” a spiegare gli eventi: la crisi serba si inserisce in un contesto geopolitico più ampio, caratterizzato dalla storica ambiguità del paese tra l’Occidente e la Russia. Belgrado mantiene forti legami con Mosca, soprattutto sul piano energetico e militare, mentre parallelamente persegue il percorso di adesione all’Unione Europea. Questa posizione di equilibrio instabile ha reso la Serbia vulnerabile a pressioni esterne da entrambe le parti.

La Russia accusa l’Occidente, ma c’è di più

Secondo fonti internazionali, il segretario del Consiglio di Sicurezza russo Sergei Shoigu e il vice primo ministro serbo uscente Alexandar Vulin hanno discusso delle proteste in Serbia, definendole una possibile “rivoluzione colorata” e ipotizzando il coinvolgimento di intelligence occidentali nel tentativo di destabilizzare il governo di Vučić. La narrativa russa sostiene che gli Stati Uniti e l’Unione Europea potrebbero avere interesse a minare la leadership serba per ridurre l’influenza di Mosca nei Balcani. D’altra parte, Bruxelles e Washington vedono con preoccupazione l’eccessivo avvicinamento di Belgrado a Mosca e Pechino, chiedendo alla Serbia un allineamento più netto con l’Occidente. Le proteste, quindi, potrebbero rappresentare un’opportunità per chi auspica un cambiamento politico che spinga il paese definitivamente verso l’orbita euro-atlantica. Le proteste continuano soprattutto grazie alla volontà degli studenti universitari: ogni singolo dipartimento di ogni singola università è attualmente sotto occupazione, senza distinzione di colore politico. L’inadeguatezza e la corruzione del governo serbo sono riuscite nell’impensabile: unire gruppi di destra a gruppi di sinistra, dal Club451 alle formazioni anarchiche. Inizialmente, il governo serbo ha risposto alle manifestazioni con durezza, ordinando una serie di arresti tra i partecipanti e accusando “forze straniere” di fomentare il dissenso. Tuttavia, di fronte alla crescente pressione interna e internazionale, Vučić ha adottato un atteggiamento più conciliatorio, ordinando il rilascio di molti manifestanti e annunciando riforme per rispondere ad alcune delle richieste della piazza. Questa strategia riflette la volontà del presidente di contenere l’escalation senza compromettere il suo potere. Tuttavia, resta da vedere se queste misure saranno sufficienti a placare il malcontento o se la protesta continuerà a crescere, mettendo ulteriormente a rischio la stabilità politica del paese.

Cambiare senza farsi assorbire

La Serbia si trova oggi a un crocevia fondamentale per il proprio futuro. Le proteste rappresentano un segnale chiaro del malcontento di una parte della popolazione, ma allo stesso tempo si inseriscono in una partita geopolitica più ampia, in cui attori internazionali potrebbero cercare di influenzare gli equilibri interni. La capacità di Vučić di mantenere il controllo della situazione senza ricorrere a una repressione brutale, ma anche senza cedere completamente alle pressioni occidentali, sarà determinante per la tenuta del suo governo. Nel frattempo, il paese resta sotto osservazione, in bilico tra un crescente desiderio di cambiamento e le incognite di una crisi politica che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini serbi.

Blocco Studentesco