Di Jean
Che le nostre città, specie le zone periferiche, sono sempre meno sicure è un fatto ormai noto. Basta leggere la cronaca locale di una qualunque città di provincia italiana per rendersi conto della sempre maggiore incidenza della microcriminalità. In altri paesi europei la situazione è ben peggiore: basti pensare alla Svezia, il paradiso socialdemocratico per eccellenza, che ora sta pagando a caro prezzo anni di politiche immigrazioniste. Come fa notare Emanuele Fusi nel suo saggio “white guilt” alla periferia di Stoccolma vi sono quartieri interdetti agli autoctonie, più in generale, ai bianchi (le cosiddette “no goes areas”) in cui in certi casi vige la Sharia, la legge islamica. O si pensi alle banlieu d’oltralpe, teatro di sanguinose proteste nel 2023 scoppiare in seguito all’uccisione di un ragazzo nordafricano da parte delle forze dell’ordine. Veri e proprie rivolte razziali, ormai arrivate anche qua da noi come si è visto qualche settimana fa a Milano, quando tra il 25 e il 26 novembre il quartiere di Corvetto è stato messo a ferro e fuoco a causa di tumulti scoppiati per motivi analoghi a quelli francesi dell’anno scorso. Sono gli effetti di decenni di immigrazione incontrollata stanno dando i nefasti frutti e i popoli d’Europa si trovano ora a pagare un conto salatissimo.
E mentre anche le città un tempo tranquille sono diventate ormai invivibili, c’è chi non perde l’occasione per rampognare coloro che scendono in strada per ribadire che mai le nostre città saranno terra di conquista gridando al sempiterno “pericolo fascista” e, ovviamente, tralasciando le motivazioni delle proteste. Ricordiamoci per esempio del polverone mediatico scoppiato all’indomani della manifestazione di Bologna del 9 novembre quando il sindaco Lepore, anziché interrogarsi sullo stato di sicurezza della sua città, accusò il governo Meloni di aver mandato “300 camicie nere”. Tralasciando il grottesco paragone tra i manifestanti di Bologna e gli squadristi, ciò la dice lunga sull’indifferenza della sinistra istituzionale circa il problema della sicurezza. Quella stessa parte politica che in tempo di pandemia invocava l’esercito per scongiurare assembramenti, ora è immobile dinnanzi alla microcriminalità.
L’altra parte dello spettro politico invece, approfittando della latitanza degli avversari, ha fatto della lotta al degrado un vero e proprio cavallo di battaglia. All’aumentare di furti e spaccio, il centrodestra chiede più polizia, più telecamere e inasprimento delle pene come se repressione e sorveglianza di massa, cioè soluzioni temporanee e nemmeno troppo efficaci, bastassero per risolvere problemi che vanno ben oltre il semplice degrado urbano. Ed è così che in nome della sicurezza vengono varate una serie di norme iper restrittive e di decreti assurdi come il “decreto Willy” o le assurde regole anti-movida, per non parlare delle decine di posti di blocco durante i fine settimana. Misure che, nella maggior parte dei casi, a malapena tamponano il problema della microcriminalità ma che portano agli arresti domiciliari dei ragazzi per una semplice scazzottata o multe salatissime a chi beve una birra al parco. Insomma, se non riusciamo a trovare i colpevoli, allora consideriamo tutti i cittadini come potenziali tali. E via con controlli assurdi, migliaia di telecamere e perquisizioni arbitrarie. La retorica del “legge e ordine” tipica del centrodestra attecchisce è sovente supportata da trasmissioni spazzatura come Striscia la Notizia che, detto apertis verbis, commettono un vero e proprio atto di sciacallaggio mediatico. Il copione è sempre lo stesso: un inviato della trasmissione si addentra nei luoghi peggiori delle periferie come campi rom o piazze di spaccio, per poi venire, ça va sans dire, cacciato in malo modo e a volte aggredito. Ecco servito lo scandalo: si mette in cattiva luce un intero quartiere e non di rado si accusano, seppur velatamente, di omertà i suoi abitanti. Ma anche il web oggi si popola di personaggi analoghi: uno su tutti Cicalone, ospite perfino ad Atreju. Egli, similmente al sopracitato programma di canale 5, gira documentari in zone trascurate. In compagnia dei suoi collaboratori, per lo più nerboruti artisti marziali, si interfaccia con i protagonisti della microcriminalità locale e, analogamente a Vittorio Brumotti, non è nuovo a subire aggressioni. Nel mentre il suo canale aumenta di visibilità, direttamente proporzionale alla popolarità del personaggio Cicalone che si è guadagnato la fama di giustiziere e di colui che ha il coraggio di mostrare la realtà. Una notorietà e un personaggio creati alle spalle di chi in quei quartieri malfamati ci vive e quotidianamente affronta i disagi delle periferie multietniche.
MOLTO PIÙ CHE DEGRADO
L’aumento esponenziale della microcriminalità, la crescente insicurezza delle nostre città sono problemi che vanno ben oltre a semplici questioni di decoro urbano e pertanto insufficienti, se non controproducenti, stringenti norme tanto care al centrodestra.
Le periferie di tutta l’Europa occidentale sono polveriere pronte ad esplodere. Scenari come quello francese del giugno 2023, con saccheggi di negozi, violenze agli autoctoni, devastazioni e conseguente violenza poliziesca, potrebbero presto verificarsi anche altrove. E non ci si illuda che il nostro Paese, seppur goda di un minor numero di stranieri, sia immune a ciò: i fatti di Corvetto lo hanno dimostrato seppur si tratta di nullità se paragonati ai tumulti d’oltralpe. Un’Italia distopica attraversata da una guerra civile tra autoctoni ed allogeni come quella descritta da Cesare Ferri nel suo romanzo “i giorni dell’onore” potrebbe essere nel giro di qualche decennio realtà.
È il fallimento dell’integrazione, impossibile non già per gli immigrati ma anche e soprattutto per i figli di questi ultimi, le cosiddette “seconde generazioni” che sembrano essere meno integrati rispetto ai loro padri. Se per questi ultimi erano una minoranza esigua al loro arrivo in Europa e quindi più propensi all’inserimento in società, i loro figli nascono e crescono perlopiù in veri e propri ghetti, finendo così per rimanere stranieri seppur nati sul suolo europeo. Non è un caso che, con buona pace dei sostenitori dello ius soli, molti ragazzi nordafricani di seconda generazione non si sentano minimamente europei. Non è possibile, e ce ne stiamo rendendo conto, un’integrazione se la percentuale di stranieri è elevata. Occorre quindi bloccare o per lo meno limitare fortemente l’immigrazione, incominciando da quella clandestina e investire nella natalità. Se i popoli d’Europa non fanno figli anche a causa di un sempre maggiore impoverimento e per compensare lo spopolamento si importano stranieri, si ha una vera e propria sostituzione di popolo. Un rimpiazzamento che l’Europa sta già pagando a caro prezzo. Non è complottismo , è un dato di fatto.
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