Di Sara
La caduta del governo di Bashar al-Assad in Siria è stata accolta dai media internazionali con un entusiasmo quasi comico, che ha dipinto la vittoria dell’insurrezione come un salto verso la libertà e la democrazia. Tuttavia, il nuovo leader, Abu Mohammed al-Golani, non rappresenta un simbolo di progresso, ma è una figura profondamente legata al terrorismo jihadista, con connessioni con Al-Qaeda.
Con un’ironia inquietante, i media hanno descritto la sua presa di potere come un passo verso la stabilità, nonostante il suo passato da leader di Hay’at Tahrir al-Sham, un gruppo noto per la sua brutalità e per il suo programma islamista. La vittoria dell’insurrezione è stata accompagnata da immagini di caos a Damasco, dove edifici governativi sono stati saccheggiati e le razzie si sono moltiplicate. Nel frattempo, Israele e i suoi alleati americani hanno giocato un ruolo cruciale nell’indebolire il potere di Assad attraverso attacchi strategici mirati e nel ridurre il sostegno dei suoi alleati.
La Siria riveste un’importanza strategica innegabile grazie alla sua posizione geografica, alle sue alleanze e al suo ruolo centrale nella dinamica geopolitica del Medio Oriente. È stata un tassello fondamentale nell’asse Iran-Hezbollah, fungendo da canale principale per il flusso di armi e supporto iraniano verso Hezbollah in Libano. Questo asse è considerato da Israele una minaccia persistente, e la permanenza di Assad al potere ha garantito un canale stabile per l’influenza iraniana. Israele è consapevole del proprio obiettivo strategico: indebolire questa “mezzaluna sciita” attraverso la rimozione di Assad. In questa direzione, gli attacchi aerei contro obiettivi iraniani e di Hezbollah sono stati numerosi, come parte di una strategia destinata a ridurre l’influenza iraniana nella regione.
Le ambizioni israeliane hanno radici profonde: la strategia Clean Break del 1996, elaborata dai neoconservatori statunitensi per l’allora primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, aveva già previsto un cambio di regime in Siria come metodo per indebolire l’asse sciita. Israele ha utilizzato disordini regionali e attori esterni per destabilizzare i governi considerati ostili. Secondo indiscrezioni rivelate da Wikileaks, Netanyahu avrebbe addirittura finanziato gruppi estremisti in Medio Oriente, incluso Hamas in Palestina, per raggiungere questi obiettivi. Questa strategia è stata amplificata anche attraverso una campagna mediatica di propganda mirata a ottenere il sostegno delle potenze occidentali, con accuse infondate come l’uso di armi chimiche da parte di Assad sui suoi cittadini nel 2018.
Durante la guerra civile siriana, iniziata con la Primavera araba del 2011, gli Stati Uniti hanno avviato il programma Timber Sycamore, volto a supportare i ribelli siriani. Milioni di dollari in armi e addestramento sono finiti nelle mani di fazioni islamiste, come il Fronte al-Nusra, affiliato ad Al-Qaeda. Gadi Eisenkot, ex capo di Stato Maggiore dell’IDF, ha confermato che Israele ha contribuito con munizioni ai ribelli siriani sotto il pretesto di mantenere una zona cuscinetto contro le forze iraniane. Secondo rapporti di Foreign Policy e altre testate, Israele ha collaborato con una dozzina di gruppi ribelli nel sud della Siria, fornendo non solo armi, ma anche sostegno logistico e finanziario. Alcuni comandanti dei gruppi ribelli hanno dichiarato di aver ricevuto veicoli e armi sofisticate direttamente da Israele, mentre combattenti del Fronte al-Nusra hanno ricevuto cure mediche negli ospedali israeliani.
La caduta del regime di Assad rappresenta un momento cruciale per Benjamin Netanyahu, che ha rapidamente sfruttato il caos per consolidare gli interessi strategici di Israele. Con l’occupazione di una zona cuscinetto sulle alture del Golan, Netanyahu ha riaffermato la sua convinzione che l’instabilità in Siria serva gli obiettivi israeliani. L’occupazione è stata giustificata come una risposta al “collasso” dell’accordo di cessate il fuoco del 1974. Tuttavia, le sue azioni mostrano un opportunismo chiaro: approfittando delle posizioni abbandonate dalle forze siriane, Israele ha ampliato il proprio controllo sulla regione. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno avvertito i residenti delle aree di confine, consigliando loro di rimanere in casa, mentre zone agricole sono state designate come aree militari chiuse.
In parallelo, Netanyahu ha intensificato la campagna di bombardamenti in Siria, prendendo di mira infrastrutture militari e depositi di armi. Obiettivi chiave hanno incluso il quartier generale dell’intelligence militare di Damasco e le scorte di missili nel sud della Siria. Questo approccio ha assicurato che l’opposizione rimanga indebolita, lasciando spazio all’avanzata israeliana.
La caduta del regime di Assad, presentata dai media come un trionfo della democrazia, si è dimostrata ben diversa. La Siria, già devastata da oltre un decennio di guerra, affronta ora un futuro incerto sotto la guida di un leader islamista legato a gruppi estremisti. L’inerzia della comunità internazionale o, peggio, la sua complicità, ha peggiorato ulteriormente questa situazione. I media, nel frattempo, continuano a ripetere la narrazione di una “rivoluzione vittoriosa”, ignorando le conseguenze devastanti per i siriani, in particolare le comunità cristiane. I veri vincitori di questa situazione non sono il popolo siriano, ma piuttosto le potenze regionali come Israele, le fazioni estremiste e gli attori globali che traggono profitto da questa crisi. La Siria è ora una nazione devastata, frammentata e abbandonata, costretta a convivere con una guerra senza fine e con tradimenti geopolitici. Non siamo di fronte all’alba della democrazia promessa, ma piuttosto al trionfo dell’opportunismo e della speculazione strategica.
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