di Michele
Di fronte alla guerra in Ucraina ci viene presentata come necessaria la scelta tra Washington e Mosca, tra scontro di civiltà e multiporalismo, o, ancora più in breve, tra Huntigton e Dugin. Ma come tutte le scelte obbligate anche questa è falsata in partenza.
Non ci resta che scegliere tra Huntigton e Dugin?
Di certo quella tra Huntigton e Dugin è una scelta più nobile di tante altre. Per certi versi nemmeno così scontata, con più di uno che potrebbe trovare sorprendete il riferimento al primo e chiedere perché proprio Huntigton. In fondo, anche per motivi anagrafici, l’americano è legato a un periodo storico precedente al nostro e profondamente diverso. Sono gli anni della caduta dell’Unione Sovietica, dell’affermarsi dell’egemonia statunitense, della globalizzazione e dell’interventismo neo-con. Insomma, gli anni dell’unipolarismo trionfante. Ma il dato interessante è che per Huntigton la vittoria di quest’ultimo non è poi così scontata. La storia rimane aperta e così assistiamo a una nuova fase di conflittualità, appunto quella dello scontro di civiltà. Un paradigma quest’ultimo che permette un confronto diretto con quello duginiano del multiporalismo, a maggior ragione per il richiamo esplicito di quest’ultimo al primo. Un legame che permette di comprendere meglio il complicato gioco di affinità e divergenze tra i due e – per esteso – tra Washington e Mosca.
Riducendo all’osso, se la pace di Westfalia del 1648 era servita per porre fine alla Guerra dei Trent’anni e alla stagione delle guerre di religione, introducendo uno ius publicum europaeum e il riconoscimento reciproco della sovranità dei singoli Stati-nazione, i quali diventavano così gli attori della politica internazionale, con la fine del bipolarismo che aveva caratterizzato la Guerra Fredda si apre una stagione in cui a contare non sono più gli Stati-nazione ma le civiltà. Queste sarebbero grossomodo: civiltà occidentale, civiltà ortodossa (euroasiatica), civiltà islamica, civiltà cinese (confuciana), civiltà indù, e civiltà giapponese. In più le civiltà latino-americana, civiltà buddista, e civiltà africana, sarebbero civiltà ancora potenziali. Da queste lettura della situazione comune ai due autori le strade divergono, con Huntigton che ricerca una svolta occidentalista e Dugin una euroasiatica, seppur rivendicano una policentricità e una autonomia delle varie civiltà contro l’Occidente, percepito come un qualcosa di totalitario e nichilista.
Tutto quello che non torna
Che in tutto questo manchi proprio una civiltà europea dovrebbe già metterci in guardia, ma proseguiamo. Quella che dovrebbe essere una descrizione diventa suo malgrado una prescrizione. L’idea di scontro di civiltà viene usata quindi non come spiegazione del mondo per capire, ad esempio, perché le guerre contemporanee si svolgano sulle linee di faglia delle diverse civiltà, ma diventa un precetto. Lo abbiamo visto storicamente nella narrazione neocon della guerra in Iraq, con l’Occidente chiamato a difendersi preventivamente dalla minaccia islamica, lo vediamo adesso quando ogni sopruso di Israele in Palestina e nel resto del Medio Oriente viene giustificato per lo stesso motivo. La cosa paradossale è che così si nega il ruolo delle civiltà come spazi al loro interno sovrani e il loro riconoscimento reciproco. Allo stesso modo, il multipolarismo duginiano diventa un tutti contro l’Occidente, scadendo in quel terzomondismo, con tutte le sue implicazioni autorazziste, da cui pure l’autore russo vorrebbe, almeno a parole, allontanarsi. Basti vedere in questo senso le recenti dichiarazioni entusiaste di Dugin sulla presenza – poi in parte smentita – di contingenti nordcoreani in Ucraina.
Ad essere problematica qui è anche l’idea che Occidente e globalizzazione siano la stessa cosa, come se questa non sia un processo trasversale che attraversa tutte le civiltà. Ciò vale, a maggior ragione, quando per globalizzazione non intendiamo solamente dei processi economici, ma anche la deriva nichilista, smobilitante, livellante, la perdita dei valori e delle identità che porta con sé. Non esiste una grande Babilonia da abbattere, al massimo un’idra strisciante che avvolge le sue spire intorno al globo. Ma anche qui non ci si può ridurre a degli assoluti, a caricare una singola idea di ogni male. L’astrazione è nemica della verità. Così si scambiano per rimedi anti-occidentali situazioni e personaggi che rappresentano solamente un occidentalismo meno maturo, o si ricade in quegli atteggiamenti autolesionisti da cui ci si voleva salvare, o, ancora, si finisce di far partorire un topolino alla montagna riducendo tutto a temi più o meno superficiali, come se tutto si debba risolvere nell’impedire o meno un Gay Pride.
L’integrazione europea e il nazionalismo
Se proprio è necessario trarre una lezione dall’idea che il mondo sia ormai diviso in blocchi, questa dovrebbe essere quella di dover costruire una civiltà europea. O, meglio, di costruire uno spazio per la civiltà europea, visto che questa già esiste. Su questo bisogna pure notare una certa slealtà da parte di Dugin che recentemente ha perfino auspicato un annessione dell’Europa da parte della Russia. Qui Dugin ha giocato più volte sulle paure politiche di una certa destra europea, dall’immigrazione alla questione Lgbt, e proponendo la Russia allo stesso tempo come autenticamente europea e come anti-Europa. Una Russia che resiste allo spauracchio della modernizzazione e della europeizzazione, ma che proprio grazie al suo “stile russo” dovrebbe, non si come, attuare una modernizzazione e una europeizzazione migliori. Espressioni autenticamente europee come Carlomagno e la Chiesa cattolica sarebbero delle deviazioni da ricondurre all’Impero Bizantino e alla Chiesa ortodossa, veri titolari – per Dugin – dell’imperium romano. Tutto ciò sarebbe addirittura, non un tradimento, ma una mano tesa agli europei per salvare sé stessi e la proprio idea nazionale.
Anche qui il discorso duginiano sembra più che altro affabulatorio, visto che inserisce il nazionalismo e il fascismo tra le teorie politiche da rifiutare categoricamente e superare in quanto figlie della modernità, le altre sono liberalismo e socialismo (con il comunismo che rientra nella seconda). In nome, ovviamente, della quarta teoria politica elaborata dallo stesso Dugin. Posizione peraltro ribadita anche di recente, con il nazionalismo che viene definito una “trappola” e si afferma che “il fascismo è ciò che stiamo combattendo in Ucraina”. Parole, queste, molto significative, non solo perché aderiscono all’assurda retorica della “denazificazione” portata avanti dal Cremlino, ma anche per un altro motivo. Il fatto che per la Russia la volontà dell’Ucraina di esistere come nazione e far parte dell’Europa sia a tal punto una colpa da portare alla guerra in corse, dovrebbe farci venire più di un dubbio – per usare un eufemismo – sulla buonafede di qualsiasi progetto di unificazione europea a matrice russa.
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