Di Michele

Recentemente il Centro Studi Kulturaeuropa ha pubblicato un articolo intitolato Manifesto per il soggetto Europa potenza. Il punto di partenza è un’indagine sull’inadeguatezza e sulla incomprensioni di un certo nazionalismo, rimasto indietro rispetto ai cambiamenti in atto e usato come leva anti-europea. In un’epoca di sfide globali, blocchi e grandi spazi una prospettiva che non tenga conto di una unità europea rischierebbe così di essere un qualcosa di incapacitante. L’errore non è solo di quel sovranismo provinciale, chiuso in se stesso, rimasto fermo al culto di un passato risalente all’altro ieri, ma anche di quel conservatorismo che chiama a raccolta per un “patriottismo occidentale” e non ha spinte al cambiamento sul piano economico-sociale. A questi si potrebbero aggiungere quanti si perdono in vagheggiamenti e sogni di un mondo multipolare con la Russia a illuminare messianicamente la via.

Un soggetto per l’Europa potenza

A queste alternative Kulturaeuropa contrappone la visione di una Europa unita e soprattutto di una Europa potenza, un grande spazio che sappia quindi superare in avanti i nazionalismI di ieri e che sappia sfidare i blocchi attuali della realtà capitalistica, identificati in quello euro-americano e quello russo-cinese. Al primo blocco, ovvero quello occidentale, si rimprovera di essere “Proprio quel nazionalismo guerrafondaio dominante dal 1945 (naturale prosecuzione del nazionalismo imperialistico sviluppatosi tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale) che vorrebbe contrapporre, seguendo le tesi della Fallaci e di Samuel Huntington, l’Occidente al resto del mondo”. In questo senso, una Europa davvero unita e indipendente sotto una prospettiva imperiale e non più imperialistica potrebbe fare da traino e da ponte “verso il mondo arabo e africano per un percorso di liberazione dall’imperialismo dominante, senza nessun falso patriottismo e tanto più per conto terzi”. Appunto una kultur europea contro una zivilisation occidentale. Ciò, però, non significa che essendo l’Unione Europea malata di occidentalismo e sotto l’egida americana sia tutto da buttare, perché se è vero che “l’Europa federale non nascerà senza un soggetto culturale e politico che si muova sulla base di una critica della situazione attuale”, non può bastare il semplice rifiuto dell’esistente. Anzi, quest’ultimo diventa spesso una giustificazione del sovranismo, facendoci ritornare all’alternativa iniziale: “Tragico è che quanto esiste di integrazione europea è frutto dell’imperialismo statunitense, per larghissima parte, e che la sua astratta negazione è un sovranismo che trascina parte dell’opinione pubblica”.

Una critica al nazionalismo

L’articolo vuole essere anche una riflessione sul concetto di nazionalismo, anche se rischia di essere una critica fin troppo severa. Ad esempio, viene ricordato come il processo che ha portato alla creazione dei moderni Stati-Nazione sia in fin dei conti un processo storico: “gli Stati-Nazione non sono dati ‘naturali’ ma costruzioni economiche, sociali e istituzionali; tra il XV e il XIX secolo l’unificazione dei mercati ha costituito spesso la base per unificazioni politiche sotto il comando di una componente”. Ma questo può rappresentare un argomento solamente per chi vede la nazione appunto come un fatto bruto, naturale, già dato e non come un qualcosa da costruire e attualizzare. La nazione si innesta su una realtà concreta, sulla memoria e sul sangue di un popolo, irriducibile ai sogni globalisti che la vedono come qualcosa di intercambiabile, casuale, uno sfondo senza importanza ai desideri dell’individuo. Tuttavia non si limita a questo, è anche mito mobilitante, progettualità, divenire storico. Tutto questo pertiene anche a una sfera spirituale, sia nel suo aspetto fattivo (l’agire è espressione dello spirito) che in quello identitario (per il legame profondo con la comunità e la tradizione). Come scrive Adriano Romualdi, “nel momento stesso in cui consideriamo le contraddizione dei vecchi patriottismi, sentiamo la validità dell’idea nazionale come sintesi dei valori di sangue e tradizione contro le correnti livellatrici d’un mondo bastardo”. Insomma, il nazionalismo ha anche il merito di essere un richiamo ai valori dello spirito, una spinta sovrumanista contrapposta a quella egualitaria. Perciò, per Romualdi, non c’è contraddizione tra nazionalismo e nazionalismo europeo: “La necessità di salvare il nazionalismo trasferendolo dal piano degli antichi patriottismi a quello d’un grande nazionalismo della nazione-Europa, ci sembra, più che mai, la necessità dell’ora”.

Nazione ed impero

Anche la contrapposizione tra nazione e impero evocata nel testo può sembrare esagerata, con il rischio di riproporre uno schematismo che vede solo nell’impero la legittimità, in quanto retto da un ordine superiore e provvidenziale, e nello stato-nazione una semplice costruzione moderna e giacobina. Ma anche qui, tra nazione e impero c’è più continuità di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Come ricorda Corradini, il merito dell’idea nazionale è quello di creare unità all’interno e sfogare all’esterno le conflittualità latenti. È sempre qualcosa rivolto in fuori. Ciò significa anche che la nazione ha sempre la volontà di costruirsi in impero: “Lo Stato porta la nazione alla lotta del mondo, perché nel mondo raggiunga il suo sviluppo che è l’impero”, in quanto “la forza dentro è libertà di agire fuori”. Dobbiamo, infine, aprire una parentesi sul sovranismo. Dispiace che quest’ultimo sia diventato una specie di campanilismo rancoroso, geloso di se stesso, spesso dai toni vittimistici, che tra battute sulla carbonara e sul bidet si offende se qualcuno prova ad agire nella storia, ribaltando in questo modo le sue premesse iniziali di sfida al globalismo e quelle di un concetto come la sovranità, col suo inevitabile richiamo a una visione attiva e virile della libertà. Un fallimento che, per certi versi, è anche un tradimento.

Blocco Studentesco