di Sergio

Ius soli e Ius scholae sono attitudini progressiste e liberali alla questione della cittadinanza: visioni che hanno alla base l’idea universalista dei diritti dell’uomo, slegati da qualsiasi nesso di sangue o dovere sociale. Basta essere nati in un determinato luogo o – nel caso dello ius scholae – aver imparato in un breve periodo scolastico la lingua di un determinato paese per acquisire la cittadinanza. Nella pratica queste idee mirano come sappiamo alla sostituzione (o sovrapposizione) dei popoli europei, grazie ad uno sforzo economico liberale e culturalmente marxista. Lo sforzo dell’intellighenzia di sinistra va di pari passo con quello della grande industria alla ricerca di manodopera. Gli effetti li conosciamo altrettanto bene: terzomondizzazione, precarizzazione, caporalato, guerra etnica. Per assurdo, alla fine il risultato è più razzista dello scenario di partenza, perché amplia i divari economici interni e mette in concorrenza i lavoratori italiani con quelli allogeni.

Contro queste due proposte – è doveroso – ci batteremo senza compromessi, partendo proprio dal luogo che si vorrebbe colonizzare: la scuola. Riteniamo che la proposta mossa da Forza Italia sia molto più subdola e pericolosa di qualsiasi “boldrinata” che fa tanto rumore e pochi fatti, perché oltre a far passare la cultura come un passe-partout, concluderà la trasformazione della scuola in un diplomificio buono solo a sfornare precari. Scrisse il filosofo romano Julius Evola nel 1968: “Si dovrebbero esigere forme di insegnamento che invece di tendere unicamente ad addestrare nuove leve da inserire nella società tecnologica dei consumi e della sovrapproduzione, avesse come fine, non già un ‘umanismo’, nel senso scialbo e letterario del termine, bensì una formazione dell’uomo integrale, facendo cadere l’accento sui valori spirituali, considerando come aggiunto e, in un certo modo, staccato, tutto il sapere specializzato che si presta ad una strumentalizzazione in funzione del ‘sistema’, coi relativi condizionamenti del singolo”. C’è effettivamente un problema alla base, il malinteso democratico per eccellenza: le costituzioni – o il catechismo scolastico dei valori – non fondano i popoli. “Non riconoscerlo – scrisse il giurista tedesco Carl Schmitt equivale al tentativo assurdo di racchiudere per forza la realtà dentro schematismi astratti”. Appartenendo più allo spirito di un popolo che alla lettera, le costituzioni non si esauriscono nella loro forma scritta e anzi preesistono a questa, come ci ricorda De Maistre: “Proprio ciò vi è di più fondamentale ed essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non potrebbe mai essere scritto”. La pia illusione che un percorso di scuola “civico” per gli immigrati sia utile ad una migliore integrazione si scontra con una realtà: la costituzione non è il fondamento dell’identità italiana, la nostra vita non è qualcosa di astratto.

Possiamo quindi andare in fondo al ragionamento: la cittadinanza è solo una forma contrattuale tra un individuo e uno stato? O un legame più profondo, un “valore spirituale “ per utilizzare la dicitura Evoliana? Se siete d’accordo con la prima allora dovrete prendere coscienza che ius soli, ius scholae o ius sanguinis non sono molto differenti tra di loro, variando solo i termini del contratto non cambia la sostanza: un diritto acquisito e non conquistato. Se invece siete più propensi sulla seconda ci possiamo rendere conto come anche molti “già italiani” di sangue non riempiono di significato il loro “essere cittadini” con qualcosa di più d’essere consumatori. Calo demografico, astensionismo: qualcosa evidentemente non va nemmeno nella cittadinanza normale, nella misura in cui questa non è considerata impegno in funzione di un elemento più grande: la comunità, la Nazione, la stirpe, la storia. “Ai giovani – dice il Ministro Valditara bisogna insegnare i valori costituzionali”. No. Ai giovani devono essere suscitati i Valori: coraggio, bellezza, natura; valori che sono l’identità verace e senza veli dei nostri popoli europei. I giovani devono capire il senso di una storia millenaria che senza interruzione ci lega direttamente alle origini della nostra civiltà: solo così si può “tornare nella storia” e immaginare un progetto di futuro. I giovani devono formarsi nel corpo più che nelle nozioni: “L’educazione – per Bertrand Russell dovrebbe mirare alla libertà della mente dei giovani, e non al suo imprigionamento in una rigida armatura di dogmi destinati a proteggerla, nella vita, contro i pericoli dell’evidenza imparziale. Il mondo necessita di menti e di cuori aperti, non di rigidi sistemi, vecchi o nuovi che siano”.

C’è quindi qualcosa che nessuna educazione civica, nessuna “educazione sentimentale” potrà ma dare agli studenti: “organizzazione”, “disciplina del proprio io interiore”, “presa di possesso della propria personalità”, “conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri” (Gramsci). Una forma di cittadinanza nuova va quindi fondata prima di tutto nel corpo: solidarietà, sacrificio, collaborazione, partecipazione, impegno, dedizione, costanza; tutte parole che sono astratte per l’homo oeconomicus che ci sforziamo di creare in noi e anche negli immigrati che vengono qui ad imitare uno stile di vita che non ci dovrebbe appartenere. Parole che hanno un significato reale quando le si apprende dalle discipline sportive, dalla competizione agonistica, dalla lotta contro le proprie paure – senza le moralette del pensiero debole che vuole tutti sotto una campana di vetro. “Chi non è in grado di suscitare l’orrore – disse Nietzsche è pregato di lasciare in pace le questioni pedagogiche”. Suscitare l’orrore (dal greco deinon – ciò che fa paura) vuol dire anche addestrare la forza necessaria a superarlo. Insomma, può fare molto di più lo sport per la cittadinanza che seimila ore di esegesi costituzionale.

Immaginando quindi una scuola che metta da parte ogni velleità umanitaria e umanista, ci potremmo sforzare di pensare ad una scuola come vera artefice di cittadinanza, per gli italiani: identitaria, sociale, sportiva. Un luogo dove il sapere tecnico e la cultura vengono organicizzate con la società, il popolo e una missione storica, abbattendo quel modo di “concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da stivare di dati empirici” (ancora Gramsci) e quella “scuola borghese” che “è codificazione degli scompartimenti chiusi” e del “pensiero fatto feudo” (Berto Ricci). E se un domani la cittadinanza diventasse veramente un percorso scolastico che porti dall’infanzia ai diritti politici in modo consapevole e attivo invece di essere una condizione naturale scontata? E se fosse proprio l’educazione fisica e le qualità del carattere la chiave per sbloccarli? È folle immaginare per tutti gli italiani un “corsus honorum” in cui è lo sport a fare da collante tra pensiero ed azione? Sicuramente, e non crediamo di dire bestemmia, si potrebbe separare quella che è la cittadinanza naturale (che comunque deve rimanere base giuridico-biologica della comunità nazionale attraverso il vincolo di sangue) con una cittadinanza-in-divenire che rappresenti un momento di formazione e un vero e proprio rito di passaggio del giovane da semplice cittadino di diritto, a cittadino pienamente responsabile della sua comunità- Nazione. L’obiettivo non è quello di creare una casta di privilegiati: tutti devono avere la possibilità di stabilire il proprio grado di partecipazione alla Res Publica, ma può e deve esserci una differenza tra chi decide di mettersi volontariamente in gioco con chi invece viene solo “chiamato all’impegno”. La differenza quindi dovrebbe essere non tanto quella tra cittadino e non di un determinato paese, ma tra civile e cittadino di una nazione, dove il “cittadino” a differenza del semplice civile si assume personalmente la responsabilità della grandezza. Già Berto Ricci, nel 1933, scrisse nel Manifesto Realista: Il nome d’Italiano implica oggi, e sempre più richiederà in un prossimo futuro, non la sola qualità di abitante d’un territorio e di suddito d’uno Stato, ma quella di milite d’una rivoluzione in atto e di costruttore dell’Impero”. Togliendosi quindi da prospettive erronee e dai residui tossici del materialismo storico, vediamo come il concetto di cittadinanza regalata è qualcosa da aborrire in toto. Tutti dovremmo conquistarcela.

In ogni caso, oggi la gioventù e la scuola pubblica hanno bisogno dell’unica riforma che non si è mai fatta: quella sulle ore e la qualità dell’educazione fisica. Una vera e propria rivoluzione culturale, perché richiede lo sforzo di sostituire la figura dell’”intellettuale modello” fermo sui libri o in biblioteca (molto caro alla nostra mentalità italiana) alla figura dell’intellettuale attivo, in armi, fisicamente impegnato. Allo sport deve essere data una centralità formativa proprio nella scuola, per la sua capacità di socializzare e valorizzare gli studenti, per la sua capacità di far emergere quelle “qualità del carattereche per noi stanno “più in alto di quelle di un astratto intelletto o di una vana creatività artistica”. Perché sempre come ricorda Evola un “uomo che, semi-illetterato ha vivo il sentimento di onore e di fedeltà, per noi vale di più di un accademico laureato narcisista pronto ad ogni cortigianeria pur di farsi avanti o di uno scienziato vigliacco: e più in alto di tutto, stanno per noi i valori eroici ed ascetici, unici a giustificare la vita con qualcosa, che è «più che vita»“.

Scrisse ai giovani il Prof. Pio Filippani Ronconi: “Fate risorgere lo spirito dalla congiuntura delle vostre ossa”. Cos’è il corpo se non la nostra prima e più intima patria? Cos’è l’ambiente che ci circonda – o la società stessa – se non lo specchio della cura che dedichiamo a noi stessi, alle nostre relazioni e al nostro miglioramento? Cos’è la nostra civiltà se non ricerca costante di bellezza e prestazioni, stile ed estetica, coraggio e “sfida alle stelle”? Forse la migliore risposta a chi vuole eliminare le identità e le differenze in nome di una medesima schiavitù globale è proprio costruire un’identità forte e dinamica partendo dal periodo scolastico: dalle ossa per arrivare alle stelle. D’altronde usiamo i nomi del corpo per definire per estensione parti essenziali della nostra società: l’ossatura, la spina dorsale… e i giovani sono sempre stati le “buone gambe e la tremenda voglia di camminare”.

Blocco Studentesco