di Mauro
Facciamo un salto nell’arcipelago britannico e analizziamo la situazione nata dopo l’assassinio di tre bambine ed il ferimento di altre dieci persone compiuto dal diciassettenne ruandese (nato a Cardiff) Axel Muganwa Rudakubana, di cui per altro sono ancora ignoti i motivi ed il movente (come riportano i giornali, qualora dovesse esserci un movente per compiere un simile gesto).
Immediatamente sui social e nelle principali città inglesi inizia a viaggiare la notizia dell’accoltellamento, le forze dell’ordine in tutto questo restano in silenzio e rifiutano di dare spiegazioni o informazioni nel terrore di far scoppiare disordini e un presunto “odio razziale” nei confronti degli immigrati. Ma video e post (alcune volte spesso ricolmi di informazioni inesatte) girano e diventano comunque virali e vanno ad alimentare una serie di teorie e di notizie che non fanno altro che alimentare la rivolta, si sosteneva tra le altre cose che l’attentatore fosse un immigrato irregolare appena sbarcato e che fosse ospite in una struttura per immigrati pagata con i soldi dei contribuenti inglesi. La polizia in tutto questo negò o diede solo poche e frammentarie notizie sul caso per poi più tardi confermare l’identità dell’assassino solo per rimarcare il fatto che in realtà era nato in suolo britannico, come se ciò potesse cambiarne la sua posizione e la narrativa. Il silenzio e la faziosità delle forze dell’ordine e dei giornali che già possedevano un quadro più completo di quanto facessero credere alimenta la rabbia e il senso di insicurezza della working class britannica. Ed è proprio qui che cominciano i disordini e gli scontri, in una situazione molto simile a quella di Dublino dello scorso 24 novembre, quando schiere di giovani, certe volte giovanissimi scesero per le strade portando motti identitari e il loro dissenso verso un’immigrazione sdoganata incontrollata e portatrice di morte.
Scontri, incendi, guerra tra bande. Da una parte La Working class inglese composta anche da giovani studenti e spesso ultras del calcio, etichettati subito dalla stampa come “estrema destra” e (molto folkloristiche) presunte teste rasate, dall’altra invece bande di immigrati irregolari e non, aiutate e spesso protette dai militanti antifascisti e dalle forze dell’ordine.
Siamo sommersi da video di forze contrapposte che vagano in quelle città dove ormai gli anglosassoni sono diventati una minoranza e la violenza è padrona di casa.
In questo clima di guerra civile come molti l’hanno definita forse troppo prematuramente, imperano episodi di ruberie e anarchia, mentre scontri etnici nelle strade sono diventati la normalità ed il terreno di prova delle nuove generazioni bianche e non. In quella che è una nazione ed un regno che vede i nativi sopraffatti socialmente, numericamente e abbandonati dal proprio stato, piccoli bagliori di rivolta restano dei segnali da cogliere e da non sottovalutare, su cui soffiare per trasformare quella scintilla in un fuoco che possa illuminare il cammino da seguire e riaccendere quello stato di disorientamento in cui si trovano ora il regno britannico ed il suo popolo.
Vengono in mente le parole di Mosley, “Il Discorso dei fiumi di sangue” di E. Powell e in tutto questo si apre anche la questione irlandese, Unionisti e Repubblicani visti nelle strade di Belfast uniti contro l’immigrazione terzomondista tra cori, tricolori e union jack. Casualità e cani sciolti o possibile sogno e rivincita delle working class e dei destini di entrambi i popoli? Forse più la prima, viene difficile mettere da parte un conflitto etnico e sanguinoso come quello tra Irlanda e Regno Unito che va avanti da secoli. Ma lo sanno bene i nemici dell’Europa che dividendoci e alimentando i nazionalismi da bar ci hanno annebbiato la vista e resi silenziosi mentre la nave Europa affonda. Sarebbe ora di credere in quella concezione sociale, identitaria e rivoluzionaria cantata da migliaia di esempi. È solo così che possiamo rinascere in chiave nazionaleuropea e non si tratta di un caso isolato, non si tratta di Regno Unito o di repubblicani e lealisti. Solo i ricchi possono permettersi di non avere una patria e la nostra patria si chiama Europa ed è un binario comune per tutti, si tratta della nostra guerra santa.
Nelle barricate delle città inglesi oggi, nelle barricate delle nostre città domani.
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